MARETTI (LEGACOOP AGROALIMENTARE), SONO PREOCCUPATO PERCHÉ NON È ANDATO TUTTO BENE NEPPURE NEL NOSTRO SETTORE

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Di Letizia Martirano

“Sono nuovo del mestiere di presidente nazionale, sono stato eletto il 6 ottobre scorso, durante un’assemblea che si è svolta in parte in presenza in parte in remoto. Siamo stati tra i pochi fortunati a poter utilizzare questa formula”, mi dice Cristian Maretti, presidente di Legacoop agroalimentare mentre iniziamo questa intervista e mi rassicura, a proposito del passaggio di consegne con il suo predecessore Giovanni Luppi, “io non ho rottamato nessuno anzi nelle difficoltà del 2020 c’è stata molta sinergia nel gestire il passaggio. C’è una continuità e l’avvicendamento è avvenuto con un percorso  con il sostegno unanime di imprese e territorio con l’obiettivo di lavorare assieme a tutte le altre associazioni per rafforzare l’Alleanza delle cooperative”. “La presidenza di Alleanza delle cooperative agroalimentari si incontra tutte le settimane per confrontarsi sui diversi dossier” mi fa anche notare e sottolinea: “vorremmo che succedesse anche negli altri settori della cooperazione in modo da procedere a livello confederale più speditamente”. L’intervista non può che iniziare dalle difficoltà in cui si dibatte il governo, naturalmente.

Come valuta la situazione politica?

Alla nostra assemblea è intervenuta l’allora ministra delle politiche agricole Teresa Bellanova.  Ora, dopo le sue dimissioni, siamo in imbarazzo. Ci ritroviamo già senza il ministro dopo alcuni mesi di incontri e dopo gli Stati generali di villa Pamphili, in estate, in cui si è discusso dei capitoli principali del Next Generation Eu. Ora l’impatto della crisi politica lascia aperte una ridda di valutazioni su chi sarà il prossimo ministro. Guardo con preoccupazione alla situazione economica perché  non e’ andato tutto bene da un anno a questa parte, sia nel settore agroalimentare che in quello della pesca.

Può spiegare meglio la sua affermazione?

Nel 2020 siamo stati sulle montagne russe, con assalti agli scaffali in aprile e depressione delle vendite in estate. Oggi la chiusura del canale horeca ci appesantisce soprattutto in alcuni settori, come quello del vino. Questa situazione avrà un impatto sul 2021 e quindi non possiamo non essere presi in considerazione su questo aspetto. Anche se la gente continua a mangiare, a un anno di distanza dal primo lockdown ripeto che non è andato tutto bene. È un dato che va assimilato non tanto dal governo o dall’amministrazione, ma dalle forze sociali perché una volta vaccinati dovremo affrontare tante macerie, ci saranno sacrifici e saranno necessarie scelte. Tra l’altro i tempi delle vaccinazioni presumibilmente si allungheranno.

Nelle riunioni convocate dalla ministra Bellanova avete discusso del Next Generation?

In parte le riunioni  hanno riguardato questo piano, per quello che finora è stato possibile sapere dei suoi contenuti che, comunque, si innestano in percorsi ministeriali già avviati.

Avete presentato proposte precise come Alleanza delle cooperative?

Abbiamo lavorato per realizzare un raccordo tra tutti i settori a partire dagli assi presentati dal governo e quindi anche su agroalimentare e pesca. Abbiamo raccolto le progettualità delle cooperative o delle reti di cooperative, che si sono messe insieme per aumentare la massa critica e poter cosi’ investire sull’efficientamento attraverso nuove tecnologie  per migliorare le proprie performance.  Al momento non abbiamo tutti i tasselli e confidavamo, appunto, che in questo periodo potessimo ricevere dettagli sul metodo per la selezione e l’approvazione dei progetti.

Che tipo di ministro vorrebbe?

Mi piacerebbe un ministro con un profilo in grado di coinvolgere il governo sul nuovo corso della politica agroalimentare nella prospettiva europea, perché Bruxelles è parte del nostro giardino ed è luogo di confronto tra lobby e di relazioni con altre cooperative europee. La seconda cosa che vorremmo dal ministro è che faccia il manutentore per affrontare anche questioni apparentemente piccole per assicurare una buona qualità della normativa che permetta alle nostre aziende di non essere meno competitive di quelle cinesi o spagnole, perché il meccanismo si inceppa.

Per esempio?

Ciò che ci viene chiesto dal New Green Deal può essere vantaggioso perché la qualità e la sostenibilità dei nostri prodotti è già ad un livello molto alto e questi prodotti sono una eccellenza nel mondo e quindi vanno difesi partendo dalla materia prima, ma se poi da noi vengono vietate molecole che in altri paesi si usano ciò determina uno scompenso competitivo. Per evitarlo bisogna mettersi al lavoro con il cacciavite e far si che ciò non avvenga.

Un cacciavite per fare cosa esattamente?

Per vent’anni ho ascoltato le cooperative e le cose che chiedono hanno a che fare con una legislazione di qualità non adeguata e incompleta. È un aspetto che andrebbe curato non con eventi catartici ma con un percorso decennale di riflessione politica. La smania di voler mettere una bandierina su una legge nuova è nocivo e poi ci sono scelte che costano solo soldi e non danno nessun valore aggiunto.

Quali ad esempio?

Per esempio il dispositivo sulle farine zootecniche. Oppure le norme sui depositi dei carburanti sotto i 5000 che non possono essere paragonati alla raffineria di Gela. Sarebbe necessario un monitoraggio prima di fare una nuova norma per evitare danni perché il problema è come un principio trova applicazione nella realtà.

Esattamente cosa non funziona?

Agli annunci non segue una concretizzazione. Il backstage non si riesce a realizzare anche perché la continuità amministrativa viene frequentemente interrotta da cambi di governo e altro. Con il nuovo ministro ci sarà anche un cambio di staff e il cambiamento porta al rallentamento.

Torniamo alla dimensione europea che tanto le sta a cuore, come vede il futuro delle cooperative in questa prospettiva?

Tante cooperative un tempo attive solo a livello locale hanno acquisito una dimensione nazionale e ora possono andare verso un ambito europeo. Penso a Bonterre, Granarolo, Conserve Italia che hanno già presidi europei. Altre, come Conapi, ha soci ungheresi e spagnoli. Quando negli anni 90 le cooperative ortofrutticole hanno cominciato a investire al Sud molti soci non erano d’accordo ma poi, visti i risultati positivi, si sono ricreduti. La questione è il passaggio a cooperative con base sociale in un paese ma pronte a investire in altri territori.

Esiste una base giuridica per realizzare questo progetto?

A livello europeo c’è già una base giuridica per la creazione di una cooperativa europea ma finché non abbiamo una massa di cooperative interessate lo schema rimane sulla carta. Non so se la norma europea sia inadeguata. Lo vedremo vivendo ma il passaggio, soprattutto sul piano culturale, va fatto. Vorrei che tra vent’anni le nostre prime 50 cooperative quando parlano della Languedoc o dell’Assia si sentano a casa.

Come legge la fotografia del settore agroalimentare in questo momento?

Io noto che il settore agroalimentare, aldilà dei comizi, testimonia con i suoi numeri compresi quelli dell’indotto, un’importanza strategica ma bisogna ricordarsi che il modello agricolo attuale non è paragonabile a quello del 1950 e questo, per noi, significa che è necessario confrontarsi con questa realtà. Noi siamo del partito di chi unisce non di chi pensa a divisioni ideologiche visto che i nostri soci hanno tessere di varie associazioni e non sempre, peraltro, ciò corrisponde ad un fascicolo aziendale presso una associazione o usufruirne dei servizi. Con questo quadro, qualsiasi ministro di qualsiasi governo dovrà fare presto e dovrà mettere al tavolo il mondo delle cooperative italiane dell’agroalimentare e della pesca per immaginare un percorso di ulteriore sviluppo del sistema in termini di sostenibilità e di nuovi posti di lavoro.