MERCURI (ALLEANZA COOPERATIVE AGROALIMENTARI), FONDI PAC E PNRR COMBINATI SVOLTA EPOCALE

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Di Letizia Martirano

Il combinato disposto della nuova Pac e del Pnrr potrebbe rappresentare una svolta epocale per l’agroalimentare italiano a patto che si agisca con serietà e distaccandosi da modelli del passato. La pensa così il presidente dell’Alleanza delle cooperative agroalimentari Giorgio Mercuri, che, in questa lunga intervista, fa il punto sulla nuova Pac e il suo piano strategico e sul Pnrr. “La logica che ci deve guidare – sottolinea – deve essere da una parte comprendere quali sono i settori strategici mantenendone vive le aziende attraverso la Pac e dall’altro, come Paese, far si che quei settori strategici siano competitivo grazie a infrastrutture e tecnologie”.

A che punto siamo?

Siamo vicini a scadenze importanti per il nostro settore agricolo e agroalimentare. Stiamo definendo il Piano strategico nazionale per mettere a sistema la nuova Pac e contestualmente siamo in attesa della partenza di tutte le risorse che ci arrivano dal Pnrr sia per quello che riguarda i progetti di filiera sia, soprattutto, per le opportunità che offre per innovazione, gestione della logistica, infrastrutture.

A che punto e’ il Piano strategico previsto dalla nuova Pac?

Per quello che riguarda la nuova Politica agricola comune, si stanno susseguendo una serie di riunioni con il ministero delle Politiche Agricole  per arrivare a definire le nuove regole che saranno contenute nel Piano strategico nazionale. La riforma della Pac contiene importanti elementi di novità, che rivoluzionano la gestione delle risorse: primo fra tutti proprio il Piano strategico nazionale, che rappresenta una cornice normativa unica all’interno della quale dovranno convivere, in maniera integrata, il primo e il secondo pilastro: quindi un’ unica strategia strategia nazionale con regole ed obiettivi comuni tra i Fondi.

Quali sono le differenze con il passato?

Nella vecchia Pac bisognava dimostrare di aver rispettato le regole per ricevere il sostegno; domani saremo misurati non più sul rispetto delle regole ma sul raggiungimento degli obiettivi presenti nel Piano strategico. E’ chiaro che questa impostazione significa uno stravolgimento del sistema di aiuto.

Vale a dire?

In sostanza stiamo scrivendo il futuro dell’agricoltura italiana non dei prossimi 5, 7 anni ma probabilmente dei prossimi 30 anni. Se riusciamo a determinare bene le politiche nazionali per gestire le risorse che vengono dall’Europa noi potremo sostenerla ma se ci limiteremo semplicemente a distribuire risorse senza obiettivi ben precisi rischiamo che nostra agricoltura rimanga fortemente indietro rispetto agli altri paesi.

Siamo in ritardo?

A due mesi dalla scadenza per la presentazione del Piano siamo indietro rispetto agli altri paesi, ma questa circostanza, volendola leggere in modo positivo, può essere anche d’aiuto all’Italia perché, oggi, possiamo già analizzare i Piani strategici che si sono date Spagna e Francia. Dunque conosciamo già come si stanno muovendo gli altri paesi e questo ci può aiutare nelle scelte che facciamo a livello nazionale.

Perché’?

Perché con i produttori di quei Paesi ci dobbiamo competere e dunque possiamo addirittura apportare delle migliorie al nostro Piano rispetto a quello che avevamo pensato qualche mese fa.

Qual e’ una condizione imprescindibile per l’Alleanza delle cooperative?

L’Alleanza delle cooperative sta chiedendo fortemente che la destinazione delle risorse possa essere successiva e consequenziale rispetto alla definizione degli obiettivi strategici. Per essere più chiari, dobbiamo stabilire quali sono i settori importanti per il sistema agroalimentare italiano e puntare su quelli, sapendo che gli aiuti diretti hanno molte meno risorse che in passato e quindi alcuni settori in particolare saranno più danneggiati di altri. Per questo dobbiamo trovare un modo affinché i settori più colpiti dalla riduzione degli aiuti comunitari siano compensati dal mercato, con politiche strategiche mirate e ben definite.

Nella scrittura del Piano ci sono molti contrasti?

Ad oggi, rispetto alle posizioni delle maggiori organizzazioni di rappresentanza, non sembra esserci grande divergenza di idee rispetto agli obiettivi da raggiungere. E soprattutto c’è condivisione rispetto ai settori che riteniamo strategici. E’ chiaro quindi che tutto il mondo agricolo, sia delle professionali sia della cooperazione, ha ben chiaro qual è lo sviluppo e la potenzialità che può avere il sistema agricolo italiano.

Sui settori strategici sono state prese decisioni?

Non ancora. Sulla base delle scelte che verranno fatte, alcuni settori purtroppo non avranno prospettive a lungo termine; ma è evidente che quando le risorse diminuiscono e non bastano per tutti, è necessario più che in passato, indirizzarle verso politiche che rendano l’intero sistema agricolo italiano più competitivo in Europa e nel mondo. 

Competere come?

C’è la volontà di tutti di rafforzare le misure ambientali, ma nello stesso tempo dobbiamo essere capaci di valorizzare quello che abbiamo già fatto in questo ambito. Ad esempio, in tema di produzione integrata o di biologico l’Italia è molto avanti rispetto agli altri paesi. L’obiettivo stabilito a livello comunitario è raggiungere il 25 per cento di superficie coltivata a biologico; in Italia siamo già al 16 per cento. Il sistema di produzione integrata è stato ideato in Italia. Rafforzare questi sistemi vuol dire mantenere l’Italia al primo posto a livello europeo.

Qual è la sfida maggiore?

Dobbiamo essere capaci di creare politiche transregionali perché un settore strategico non è limitato alla regione, è nazionale. Per questo è necessario che le Regioni capiscano che questa partita straordinaria per l’agricoltura italiana non può essere gestita in modo diverso da regione a regione.

Su questo c’è un forte conflitto con le Regioni?

E’ una discussione piuttosto che un conflitto ma, a oggi, non abbiamo ancora elementi per valutare come stanno lavorando le Regioni rispetto a questo nuovo modello di Pac che ha sicuramente ridotto il loro ruolo in favore del livello centrale dell’Amministrazione.

Il coordinatore degli assessori regionali all’Agricoltura è presente alle riunioni tra Mipaaf e parti sociali sul piano strategico?

No, perché fino a oggi stiamo lavorando separatamente: c’e’ il tavolo di raffronto con gli assessori e un tavolo con la rappresentanza.

Il ministero dovrebbe poi fare una mediazione?

Sostanzialmente sì. In questo momento, le Regioni stanno dialogando con la nostra rappresentanza territoriale. Lo sforzo forte che si deve fare in questa fase, sicuramente non facile, è capire che non possiamo ragionare come si è fatto nel passato.

Cosa significa concretamente?

Non possiamo dire di aver vinto o aver perso sulla Pac sulla base di quanto ottenuto in termini finanziari da una regione piuttosto che dall’altra, come succedeva nella Pac precedente. Ora c’è un Piano nazionale, per cui il risultato del successo della Pac deriverà dalla possibilità di organizzare una governance che tenga insieme il nuovo modello gestionale e le competenze delle regioni e dall’aver condiviso politiche comuni nel valorizzare le filiere strategiche lavorando, ovviamente, sui dati storici.

Non sembra che questo nuovo orientamento dispiaccia all’Alleanza delle cooperative, o sbaglio?

Proprio perché siamo un mondo produttivo aggregato, orientato al mercato, siamo fortemente convinti che il ruolo forte delle Regioni sia determinante per quanto riguarda la Pac. Oggi le Regioni devono essere in grado di comprendere quali sono i propri settori in grado di avere prospettive, a prescindere dai soldi che porteranno a casa.

Che aria tira tra gli assessori?

Patuanelli ci ha detto che le Regioni stanno lavorando e che anche con loro farà riunioni periodiche.

Ma cosa chiedono le Regioni, per esempio l’assessore pugliese Pentassuglia?

So che Pentassuglia ha chiesto alle organizzazioni regionali su quali settori indirizzare le risorse e di ridurre le misure del secondo pilastro. L’orientamento sembra essere quello giusto. Ma ciò che conta è che il Piano strategico sia fatto di obiettivi raggiungibili, perché è quello che chiede l’Unione europea.

Chi, al ministero, oltre al capo Dipartimento Blasi, è a lavoro sul Piano strategico?

Agea è fortemente coinvolta perché detiene i dati e sta lavorando su quelli storici  che arrivano dagli organismi pagatori per elaborare le proiezioni che tutti chiediamo per  una verifica preliminare di impatto sui diversi settori, vista la riduzione degli aiuti diretti. Il ritardo nella predisposizione del Piano strategico deriva anche dal fatto che noi non disponiamo di dati nazionali omogenei, ma di dati che provengono sia dall’organismo pagatore Agea sia dagli altri 7 organismi pagatori.  Metterli insieme non è semplice.

Esiste un luogo di confronto tra i Piani strategici dei diversi stati membri, rispetto agli obiettivi ambientali indicati?

No. Noi e gli spagnoli, sulle stesse produzioni, abbiamo piani strategici diversi ma questo, come  dicevo, può essere un vantaggio per noi che siamo in ritardo. Sugli ecoschemi stiamo lavorando in modo completamente diverso dalla Spagna, che ha un approccio più semplificato ma che renderà piu’ difficile raggiungere gli obiettivi fissati dall’Unione europea. Noi stiamo lavorando su ecoschemi che rafforzano quello che abbiamo già fatto sul benessere animale, sul biologico, e sul settore apistico. Insomma puntiamo a scelte che ci permettano di restare un Paese virtuoso, più di altri in Europa. È chiaro che poi dovremo essere capaci di sostenere queste scelte dal punto di vista di mercato e dal punto di vista mediatico.

Parliamo del Pnrr?

Il Piano nazionale di riprese e resilienza rappresenta una grande occasione per accompagnare le imprese agricole e agroalimentari nel percorso di transizione ecologica e digitale, voluto dall’Unione Europea.  Con le risorse del PNRR stiamo offrendo alle aziende agricole e alle cooperative la possibilità di rafforzare le infrastutture, la logistica, la tecnologia.

L’impiego di queste ingenti risorse deve combinarsi in modo coerente con il Piano strategico nazionale. Soltanto se sviluppati in sinergia, questi interventi potranno veramente dare un futuro diverso all’agricoltura italiana.

Un esempio?

La cooperativa di cui sono presidente potrà contare sui premi dell’Ocm ortofrutta, i soci della cooperativa potranno beneficiare dei pagamenti diretti, senza dimenticare la possibilità di ottenere risorse dal secondo pilastro della Pac per, ad esempio, creare magazzini. Ma stiamo parlando di importi molto bassi: l’aiuto diretto sarà probabilmente pari a cento euro per ettaro; per l’Ocm si avrà  diritto ad un premio pari al  4 per cento del fatturato; per la realizzazione di un impianto ci saranno a disposizione al massimo 5 milioni di euro. In una prospettiva di sviluppo sostenibile, tutto questo è insufficiente. Per questo motivo diventano fondamentali le risorse del Pnrr che potrà aiutare a far sviluppare il settore, ad esempio, finanziando infrastrutture per trasportare le merci che abbiano un ridotto impatto ambientale. Oggi, abbiamo la fortuna di poter immaginare che venga realizzato un impianto di trasporto su rotaia, che è indubbiamente molto costoso e infattibile senza i sostegni del Pnrr.

Ci sono già progetti interessanti in ambito Pnrr, a parte quelli cantierabili dei consorzi di bonifica?

A livello nazionale si stanno predisponendo delle aggregazioni per creare investimenti importanti su infrastrutture, logistica e innovazione.  Alleanza delle cooperative e parte del mondo privato dell’industria stanno ragionando, ad esempio, nel settore ortofrutticolo, su progetti di innovazione per la logistica, al fine di ridurre i tempi di spostamento delle merci in tutta Italia. Progettualità di primaria rilevanza stanno emergendo anche nel settore lattiero-caseario, per ovviare alle crisi di mercato che ciclicamente investono il comparto. Dobbiamo lavorare su cose che possono interessare tutti. Mettere a sistema tutte queste progettualità è il compito che deve svolgere la politica, che ci ha sempre detto che le risorse del Pnrr servono non ai singoli ma alla collettività e, soprattutto, per lo sviluppo di interi territori.

Ci si sta riuscendo?

Potremo dire che ci stiamo riuscendo quando vedremo come sono scritti i bandi per l’erogazione di queste importanti risorse economiche. La posta in gioco è altissima: parliamo di progetti il cui valore si attesta oltre i 50 milioni di euro.