MARETTI (LEGACOOP AGROALIMENTARE), “LA FILIERA NON FINISCE CON L’USCITA DEI PRODOTTI DAL MAGAZZINO E PER QUESTO VOGLIAMO RILANCIARE LE RELAZIONI CON GLI ALTRI ATTORI DELLA COOPERAZIONE. IL GOVERNO PUO’ DARE UNA MANO IMPORTANTE A TUTTO IL SISTEMA”

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Di Letizia Martirano

In vista dell’assemblea di meta’ mandato del 6 dicembre, convocata per fare il punto della situazione con i delegati Cristian Maretti, presidente di Legacoop Agroalimentare, riflette in questa intervista su alcuni temi “caldi” che saranno affrontati. Per cominciare il cambio di passo che il nuovo governo intende imprimere alla politica agricola domestica e le relazioni con gli altri attori della Cooperazione. “Sentiamo di appartenere al settore primario nonostante il grande impegno a trasformare e valorizzare per i nostri clienti ma – sottolinea Maretti – sappiamo che la filiera non si conclude con l’uscita dei prodotti dal nostro magazzino ed è per questo che vogliamo rilanciare le relazioni con gli altri attori della Cooperazione”.

Che idea si è fatto dell’impostazione del nuovo governo?

Il governo ha due caratteristiche peculiari è formato da una maggioranza politicamente più omogenea delle precedenti, uscita vincitrice dalle elezioni e è guidato da una donna giovane con una lunga carriera politica. E’ solo grazie agli interventi pubblici che possiamo presentare bilanci non disastrosi, nonostante il Covid, la guerra, l’aumento dei costi. Tuttavia per alcune filiere e per alcune imprese questi aiuti non sempre sono stati sufficienti e quindi il nostro compito sarà di insistere per avere ulteriori risorse e strumenti efficaci. Tra vincoli di bilancio e debito pubblico, non sappiamo esattamente come la manovra di bilancio per il 2023 uscira’ dal parlamento, ma credo che difficilmente si discosterà dall’impostazione sostanzialmente prudente data dal governo. Prudenza che serve a mettere al riparo il paese da venti speculativi internazionali e su cui è molto difficile non essere d’accordo per chi ricorda il 2011. Fondamentale sarà mantenere una relazione positiva con Bruxelles, perché sulla questione energetica le risposte dell’Unione europea sono state insufficienti, ma per invertire mesi di blocco politico occorre costruire alleanze e maggioranze importanti. Sarà una “bella” sfida per il nostro presidente del consiglio Meloni, ma non mi pare gli faccia difetto la caparbietà.

Cosa chiedete al ministro dell’Agricoltura Lollobrigida?

Il governo deve fare scelte di spesa prioritarie nel primo anno di legislatura e su questo fronte prendiamo atto di alcuni segnali che si sono voluti dare nel proseguire gli interventi legati ad attenuare i costi. Noi pensiamo di poter dare un contributo per alcune modifiche utili a migliorare la congiuntura per evitare che i bilanci contabili non tengano conto della situazione eccezionale del 2022. Sarà un lavoro che continueremo nei prossimi provvedimenti legislativi, soprattutto immaginando un governo di legislatura di cinque anni. Circostanza che noi auspichiamo fortemente. Al ministro Francesco Lollobrigida chiediamo più dei soldi: chiediamo di riappropriarsi di un ruolo paritario con altri ministeri che incidono sul nostro settore, per esempio Ambiente e Salute, e di svolgere un ruolo trainante su quello del Mare. La nostra assemblea di metà mandato, che vedrà la partecipazione di oltre 150 delegati e la partecipazione e la discussione con dei gruppi imprenditoriali di rilievo nazionale, credo possa essere un ottimo stimolo alla collaborazione quotidiana sui temi strategici e sui temi che necessitano semplice “manutenzione”. E non parlo solo del territorio! Nel nostro programma c’e’ una linea specifica di intervento sulle aree fragili, interne e sulla costa perche’ ci piace pensare che dall’agricoltura e dalla pesca possa originarsi una leva di ulteriore sviluppo.

Perché sollecitate un ruolo paritario del mistero dell’Agricoltura con altri dicasteri?

Questa richiesta deriva da numerosi dossier che vanno dalla pianificazione dello spazio marino, con una consultazione pubblica chiusa e di cui non conosciamo gli esiti, al dossier energia, che incrocia la necessità di difendere le attività di pesca, anche quelle dello strascico, da file lunghissime di pale eoliche off shore delle numerose centrali eoliche (e non parchi) in via di autorizzazione e da nuove ricerche ed estrazione di gas. La richiesta investe le energie rinnovabili di origine agricola. Dal biogas e dal biometano, che hanno una valenza agricola fondamentale nella matrice energia/sostanza organica nei suoli/gestione dei sottoprodotti per chiudere i cicli territoriali di economia circolare. E investe l’agrisolare e le ragioni che hanno impedito lo sviluppo pieno del bando relativo del PNRR. 

Crede che le filiere, tema della vostra assemblea dei delegati del 6 dicembre, possano trarre giovamento dal nuovo corso politico?

La cooperazione agroalimentare ha una grande forza all’interno del settore nazionale, ed ha una caratteristica peculiare, lavora quotidianamente per aumentare il più possibile la propria voce principale di costo, ossia il prodotto dei soci. Per questo ci sentiamo di appartenere al settore primario nonostante il grande impegno a trasformare e valorizzare per i nostri clienti. Sappiamo però che la filiera non si conclude con l’uscita dei prodotti dal nostro magazzino ed è per questo che vogliamo rilanciare le relazioni con gli altri attori della cooperazione. Un percorso che passa attraverso le filiere e la tutela della biodiversità. Vogliamo poter continuare a produrre cibo made in Italy con materia prima italiana e le cooperative impiegano materia prima per il 90% proveniente dai propri soci o dal territorio nel quale operano. Un percorso che deve coinvolgere tutti e per questo crediamo che la timida introduzione del principio di reciprocità nelle importazioni, arrivata nel 2019 a livello europeo, vada estesa e resa vincolante per l’accesso al nostro ricco mercato. Per noi, questo è un punto di ingresso per poter ragionare di sovranità alimentare. Su questi argomenti credo che potremo trarre grande utilità da un confronto franco e aperto con il nuovo ministero.

Riduzione dei fitofarmaci e delle emissioni è il pallino della commissione europea. Come pensa si possa fronteggiare la situazione?

Legacoop agroalimentare considera l’Unione europea un patrimonio fondamentale. Il Green New Deal fa dell’Europa la punta più avanzata a livello planetario sulle tematiche ambientali. La cooperazione è sempre stata dalla parte della sostenibilità molto prima della Farm to Fork i cui target sono ambiziosi ma non certo “a costo zero” per la nostra agricoltura e potrebbero portare ad una riduzione della produzione agricola dell’Ue compresa tra il 10 e il 15% rispetto ai livelli attuali. Le colture in campo e gli animali in allevamento vanno curati esattamente con i cittadini europei curano i loro giardini ed i loro cani e gatti, altrimenti si manifesteranno i rischi di approvvigionamento alimentare anche per il continente europeo. La sicurezza alimentare dal punto di vista quantitativo non deve essere data per scontata.

Quali potrebbero essere gli effetti della riduzione dei fitofarmaci?

La proliferazione incontrollata di malattie batteriche e fungine e di insetti, alieni o autoctoni che trovano nel cambiamento climatico nuove condizioni migliori di proliferazione. Nel Nord Europa sentono meno questo problema perché storicamente le basse temperature hanno svolto un ruolo di salvaguardia, ma è solo questione di tempo… se salgono i paralleli di coltivazione della vite saliranno anche quelli di malattie e parassiti.

Come si risponde alla richiesta di riduzione dei fitofarmaci

Governo italiano, parlamenti nazionale e europeo devono poter dispiegare al meglio le possibilità delle “nuove tecnologie genetiche” e le tecniche di ibridazione che consentono di avere più tolleranze e resistenze nelle piante. C’è bisogno di innovazione e di fare aggregazione – e in questo le nostre cooperative hanno una certa competenza – di costruire una filiera sempre più solida. Innovazione, tecnologia e ricerca giocano un ruolo determinante per migliorare le coltivazioni da un punto di vista quantitativo. Abbiamo le nostre radici nella tradizione, ma dobbiamo guardare all’innovazione come unica via per il futuro del cibo made in Italy. La Farm to Fork potrà essere una vera strategia vincente se riusciremo a coniugare gli obbiettivi posti senza perdere capacità produttiva e reddito. E per farlo, quello che occorre è una strategia per mettere a disposizione quegli strumenti che servono per accompagnare gli agricoltori verso il cambiamento. Occorre ricerca per ridurre i prodotti fitosanitari e antibiotici e sostituirli con altri altrettanto efficaci, accessibili e sostenibili.

In questa ottica si inserisce anche il vostro no alle carni sintetiche?

Riuscire a produrre, a garantire materia prima di qualità per i nostri allevamenti, è determinante per evitare che il consumatore italiano ed europeo si trovi nel piatto proteine animali generate in bioreattori senza aver capito bene i limiti di sostenibilità ambientale e le conseguenze sulla salute. Siamo fiduciosi che con le giuste alleanze in Europa si potranno raggiungere risultati positivi così come è stato fatto per il nutriscore e la promozione di vino e carni rosse.