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FLAI CGIL HA PRESENTATO OGGI A ROMA IL VI RAPPORTO AGROMAFIE E CAPORALATO
la flai-cgil ha presentato oggi a roma il VI rapporto agromafie e caporalato messo a punto dall’osservatorio placido RIZZOTTO. una sintesi dell’importante analisi e’ stata diffusa nell’occasione. la riportiamo integralmente: “le stime dell’istat riportate nel rapprto, grazie al contributo di carlo DE GREGORIO e annalisa GIORDANO, evidenziano che, nel corso del 2021, sono stati circa 230 mila gli occupati impiegati irregolarmente nel settore primario (oltre un quarto del totale degli occupati del settore), in larga parte ‘concentrata nel lavoro dipendente, che include una fetta consistente degli stranieri non residenti impiegati in agricoltura’. peraltro, se e’ vero che la geografia del lavoro agricolo subordinato non regolare e’ radicato in puglia, sicilia, campania, calabria e lazio con tassi di irregolarita’ che superano il 40%, in molte regioni del centro-nord i tassi di irregolarita’ degli occupati sono comunque compresi tra il 20 e il 30%. mettendo a fuoco, nello specifico, il profilo degli occupati agricoli non regolari, si nota che il peso dei lavoratori migranti quasi raddoppia (in particolare quello dei cittadini comunitari); in oltre il 70% dei casi si tratta di lavoratori dipendenti e, tra questi, si osserva un maggior peso degli occupati che lavorano in regime di part-time. ne consegue che, in corrispondenza dei lavoratori con tali caratteristiche, i tassi di irregolarita’ assumono valori decisamente piu’ elevati rispetto al tasso riscontrato per l’intero settore agricolo. inoltre, nel comparto agricolo, si riscontra la tendenza a generare ‘lavoro povero’ ove prevalgono individui, che pur avendo lavorato, mostrano redditi personali e familiari decisamente al di sotto dei valori medi. in particolare, in italia circa 8,6 milioni di individui hanno in italia un reddito disponibile familiare equivalente annuo inferiore alla meta’ del reddito mediano misurato su tutti i residenti (cioe’ inferiore a 8.300 euro). escludendo i lavoratori stranieri non residenti, poco meno di un terzo dell’occupazione agricola (pari a oltre 300 mila unita’) ricade in questa area a bassissimo reddito, con un’incidenza che e’ il triplo di quella media, senza contare un ulteriore 3,7% di occupati agricoli che vive in famiglie prive di segnali di redditi emersi. estendendo l’analisi anche alle famiglie degli occupati in nero in agricoltura, appare evidente che non siano in grado di svolgere un ruolo di paracadute in termini di sostegno economico: infatti, la vulnerabilita’ economica individuale non sembra essere affievolita dalla presenza di un contesto familiare di sostegno sia a causa della ridotta numerosita’ dei componenti del nucleo, sia del loro stato occupazionale. se, in generale, le famiglie con almeno un occupato nel settore agricolo sono mediamente piuttosto numerose (circa il 40% di esse ha almeno quattro componenti e, in oltre il 55% dei casi, si tratta di coppie con almeno un figlio), il sottoinsieme di famiglie con almeno un occupato non regolare e’ mediamente di dimensione assai piu’ contenuta e, in particolare, si tratta in prevalenza di famiglie monocomponente e, a seguire, di coppie senza figli con soggetto di riferimento ultra sessantaquattrenne e poi di famiglie monogenitore. l’estrema vulnerabilita’ della parte piu’ fragile dell’occupazione agricola e’, peraltro, evidenziata anche dal numero di procedimenti e di inchieste avviate per motivi di sfruttamento lavorativo, 2 cosi’ come censiti nel IV rapporto altro diritto/flai cgil sul contenzioso. nel quinquennio 2017-2021, infatti, su un totale di 438 casi ben 212 (oltre il 48%) hanno riguardato il solo settore primario. aspetto interessante, ma non sorprendente, e’ che le inchieste sull’agricoltura sono prevalentemente incardinate presso le procure del sud italia: questo aspetto emerge chiaramente per gli anni 2017-2018 (per il 2017, su 14 procedimenti relativi al settore agricolo, ben 12 riguardavano il meridione; nel 2018, il rapporto era di 23 inchieste su 43) ma, a dire il vero, trova conferma anche nel monitoraggio dal 2019 al 2021, anche se con una leggera flessione, per cui le vicende del sud italia sono poco piu’ della metà di tutte quelle che coinvolgono lavoratori agricoli (31 su 55 per il 2019; 24 su 51 per il 2020; 28 su 49 per il 2021). il VI rapporto agromafie e caporalato, con gli approfondimenti territoriali in friuli-venezia giulia, nel veneto, mette in luce l’evoluzione del caporalato nelle filiere produttive agroalimentari, come gia’ evidenziato nel IV rapporto con un focus sul distretto della lavorazione delle carni modenese. l’appalto ed il sub appalto illecito, sapientemente orchestrati da ‘colletti bianchi’ senza scrupoli, con girandole di pseudo imprese, spesso false cooperative, ma anche srl farlocche quasi sempre intestate a compiacenti prestanomi, rappresentano l’evoluzione dell’intermediazione illecita di manodopera, che puo’ essere definita ‘nuovo caporalato’ o ‘caporalato industriale’. un’evoluzione diventata un modello d’organizzazione del lavoro per imprese senza scrupoli che, pur di essere piu’ competitive e di aumentare le proprie marginalita’, calpestano contratti di lavoro, la dignita’ delle persone e le leggi dello stato. un ‘modello’ che non interessa solo le imprese dell’agroalimentare, ma che parte dai campi ed arriva fino agli ospedali, passando dai macelli. il sistema degli appalti e dei sub appalti consente a committenti spregiudicati di avvalersi di manodopera a costi bassissimi, in alcuni casi oltre il 40%, con improprie applicazioni contrattuali (logistica e multiservizi per lavorazioni del processo produttivo dell’industria alimentare), con orari e ritmi di lavoro pesantissimi, ma che genera anche imponenti evasioni da parte delle pseudo imprese appaltatrici che non saldano i propri debiti con lo stato (iva, irap, contributi inps) o con le banche (per gli anticipi fatture che non vengono negati quando c’e’ una facoltosa e sicura committenza). la vera ‘forza motrice’ degli appalti irregolari e’ l’evasione dell’iva e di tutte le altre imposte che gravano sulle imprese. il sistema trova la sua linfa vitale da questo meccanismo perverso: l’impresa committente paga le fatture che riceve dal consorzio per i servizi prestati, vanta cosi’ un credito d’iva da parte dello stato (22%), abbassa l’imponibile fiscale, con conseguente riduzione delle imposte. inoltre, la stessa impresa committente per effetto dell’appalto, oltre a non dover assumere e gestire la forza lavoro occupata negli appalti non e’ tenuta al versamento dell’irap che si determina sull’imponibile previdenziale dei dipendenti diretti. le imprese sub appaltatrici dovrebbero versare allo stato l’iva, l’irap e i contributi previdenziali, ma questo non sempre avviene perche’ falliscono dopo pochi anni, lasciandosi dietro un’ondata di debiti nei confronti dello stato, compresi i vuoti contributivi per i lavoratori dipendenti, 3 retribuzioni arretrate, tfr da recuperare dal fondo di solidarieta’ dell’inps e quote sociali che si vaporizzano per i soci lavoratori delle pseudo cooperative. da questi meccanismi, si consegue un drastico abbassamento del costo del lavoro per le imprese committenti. dai rappresentanti delle imprese appaltatrici, spesso ‘teste di legno’ o ‘prestanomi’, non si puo’ recuperare nulla perche’, quasi sempre, non posseggono nulla che possa essere aggredito patrimonialmente. e’ il sotterfugio denunciato delle continue inchieste della guardia di finanza, in tutti i settori produttivi e su tutto il territorio nazionale, ma anche dai tanti casi che la flaicgil ha analizzato e denunciato nel contrasto degli appalti illeciti, come evidenziato nell’odierno VI rapporto dell’osservatorio placido RIZZOTTO. il risultato, con siffatto sistema fraudolento, e’ la qualificazione di una gigantesca evasione fiscale dannosa per l’intera collettivita’. un sistema determina la concorrenza sleale fra le imprese, mentre i lavoratori, come in un ‘gigantesco giuoco dell’oca’, ogni due o tre anni, si ritrovano nell’ennesimo cambio di appalto, spesso con meno diritti e meno salario. una girandola che puo’ anche essere utilizzata per la falsa fatturazione, il riciclaggio di denaro di provenienza illecita e l’infiltrazione della criminalita’ organizzata, come appurato in molti processi come il caso ‘aemilia’ in emilia-romagna. nei casi all’esame del VI rapporto, si evidenzia in cosa consiste l’illegittimita’ dell’appalto, cioe’ quando non si rispettano le norme previste dall’art. 1655 del codice civile:’l’appalto e’ il contratto col quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro’. negli appalti di dubbia legittimita’, i lavoratori e le lavoratrici delle imprese appaltatrici sono spesso diretti dal personale dell’impresa committente (gestione orari, ferie e permessi, ma anche potere disciplinare e sanzionatorio). quindi, in assenza del potere organizzativo e del rischio d’impresa, da parte dell’impresa appaltatrice, si configura l’ipotesi di somministrazione illecita di manodopera, come sancito dall’art. 29 del d. lgs 276/03. dettaglio che, spesso, la guardia di finanza sfrutta per recuperare le imposte evase cercando di dimostrare le non genuinita’ dell’appalto, bussando direttamente alle porte del committente. inoltre, con il sistema dell’appalto non genuino di parti del processo produttivo, e’ possibile eludere quanto sancito dall’art. 1-legge 199/2016, in particolare per quanto riguarda la rilevazione degli indici di sfruttamento per chiamare in solido anche le imprese committenti che beneficiano dell’intermediazione illecita di manodopera. con la schermatura dell’appalto di opere o servizi, e’ piu’ complicato chiamare in solido il committente se l’appalto ha un minimo di struttura ‘sulla carta’ ed e’ stato ben congeniato da esperti ‘colletti bianchi’. la parte del VI rapporto agromafie e caporalato dedicata agli studi di caso territoriali, compiuta attraverso un’accurata indagine di campo, in continuita’ con i rapporti precedenti, coniuga l’analisi della letteratura (prima e seconda parte) con le informazioni provenienti direttamente dagli attori sociali ed economici che operano a vario titolo all’interno del settore agro-alimentare e interloquiscono – in modo sovente separato, ma anche in modo congiunto – con le aziende e con le maestranze in esse occupate, come accade ai membri delle organizzazioni sindacali. le interviste sono state realizzate nelle aree provinciali di pordenone, treviso, cosenza e ragusa e la scelta delle aree territoriali analizzate e’ stata dettata da esigenze di approfondimento conoscitivo provenienti dalle sedi provinciali della flai cgil, ovvero laddove si snoda il lavoro sindacale ed emergono rapporti di lavoro posti in essere da intermediari illegali, che configurano molteplici forme, manifeste o mascherate, di sfruttamento lavorativo. ogni analisi territoriale parte con una dettagliata ricostruizione del tessuto economico e produttivo regionale e territoriale, fornendoci dati sulla presenza delle imprese agricole e sull’occupazione. questi dati, unitamente alla chiave di lettura che ci propone il rapporto stesso riguardo al metodo di analisi sull’economia sommersa, ci mettono immediatamente dinnanzi ad un’iportante evidenza, ovvero l’ampia distanza tra la ricchezza prodotta nei territori osservati, i bassi salari e le scarse giornate di lavoro registrate. tali considerazioni ci riportano immediatamente alla stima dell’istat relativa al lavoro sommerso e proposta da carlo DE GREGORIO nel rapporto, mostrandoci una presenza di lavoratori irregolari nel settore primario che si attesta, nel corso del 2019, intorno alle 240.000 unita’, il principale bacino all’interno del quale si annidano i casi di sfruttamento e grave sfruttamento in agricoltura. lo studio empirico dei casi ci conferma, in tutte le realta’ osservate, da nord a sud, lo squilibrio profondo tra il valore aggiunto prodotto dall’economia agricola territoriale e la compresenza di lavoro sfruttato e gravemente sfruttato. san giorgio della richivelda, per la produzione delle barbatelle, valdobbiadene/conegliano per la produzione del prosecco, amantea per la produzione delle cipolle rosse di tropea e cassibile per la produzione di patate/fragole. queste aree, oltre ad essere dei distretti agricoli di eccellenza, con un valore aggiunto rilevante, sono anche quelle dove si registrano condizioni di lavoro caraterizzate da sfruttamento, che spesso sfociano in rapporti servili e anche para-schiavistici, come testimoniano le numerose operazioni di polizia e i dati frutto delle ispezioni effettuate dagli ispettorati del lavoro regionali/nazionali. le forme manifeste di sfruttamento sono quelle focalizzate sull’irregolarita’ dei rapporti di lavoro, vale a dire quando gli operai coinvolti non sono dichiarati in ingresso, spesso mascherate con un contratto di lavoro apparentemente conforme agli standard previsti, ma che nella sostanza non vengono per nulla rispettati. cio’ accade perche’, al di la’ di quanto prevede il contratto, si 5 impongono, e non di rado si estorcono, accordi verbali con condizionalita’ differenti, soprattutto rispetto al salario e alla durata del tempo di lavoro. la condizione di irregolarita’ implica il lavoro nero, ossia l’ esercizio del lavoro in maniera completamente o parzialmente sommerso. cio’ significa non definizione di orario di lavoro, salari discrezionalmente determinati, strumenti di sicurezza mancanti, coperture assistenziali/previdenziali inevase, con l’aggravante per i lavoratori stranieri, sui quali pende la possibilita’ di acquisire o rinnovare lo status regolare di permanenza e dunque dei diritti correlati al lavoro e alla cittadinanza. tale contesto, soprattutto per quanto riguarda le aree di pordenone e di treviso, ci induce anche ad aprire una luce sui nuovi meccanismi di sfuttamento che si dipanano lungo tutta la filiera di produzione, coinvolgendo l’intera filiera agricola. scopriamo pertanto che pezzi o interi settori di produzione vengono ‘delegati’ ai caporali, attraverso la creazione di cooperative spurie e l’apertura di finte partite iva, strumenti attraverso i quali i caporali, a loro volta, ‘subappaltano’ pezzi di produzione, irrimediabilmente incardinata sullo sfruttamento e l’intermediazione illecita di manodopera. appare pertanto chiaro che lo sfruttamento lavorativo e il caporalato viene perpetrato attraverso nuovi e piu’ complessi meccanismi che vedono il coinvolgimento di attori qualificati (i cosiddetti ‘colletti bianchi’) ed in generale figure in grado di mascherare l’illegalita’ attraverso un ‘gioco di scatole cinesi’, che rende ancor piu’ complicata la prevenzione, l’individuazione e la conseguente repressione del fenomeno”.
LE STORIE PUBBLICATE NEL VI RAPPORTO AGROMAFIE E CAPORALATO
le storie [pordenone] mi chiamo a.c. e sono pakistano, nato a gujrat. ho 31 anni, e sono da 6 a pordenone. sono arrivato direttamente qui con altri connazionali pagando 7.000. non ero solo, ma con altri amici. arrivati a pordenone, sapevano gia chi ci prendesse in carico alla stazione dei pullman. ci portarono in una casa dove c’erano altre 5 persone. il gruppo con cui sono arrivato era di 4. la casa ospitava anche un collaboratore del caporale. da due anni lavoro in agricoltura, prima ero fabbro. anche nel mio paese, e l’ho fatto anche a pordenone, per pochi mesi. ma la ditta poi e’ fallita e ho ripiegato in agricoltura. non e’ un lavoro difficile, e’ solo pesante. avevo il permesso di soggiorno grazie al lavoro precedente, cosi ho potuto fare il rinnovo. ho vissuto per quasi un anno presso la casa dove sono arrivato. il lavoro in agricoltura non mi e’ mai mancato, grazie a un amico che aveva la partita iva e acquisiva lavori da alcune aziende agricole. era colui che ho incontrato all’arrivo a pordenone, con cui ho lavorato almeno un anno. poi sono andato con un altro sponsor, perche’ mi aveva promesso di pagarmi di più. prima prendevo al massimo 600 euro, poi con questo ultimo sono arrivato a 700. avendo famiglia in pakistan 100 euro in piu’ sono molte. con questa cifra piu’ alta ho affittato una casa con altri due amici, consigliato anche dal nostro sponsor perche’ diceva che era piu’ vicino alle aziende con cui aveva rapporti di lavoro. in seguito, ho scoperto che la casa era intestata a nome suo, e noi in pratica pagavamo l’affitto e le altre spese direttamente a lui che poi versava il dovuto al proprietario, con un guadagno di quasi 200 euro al mese (lo abbiamo scoperto in seguito). dopo qualche mese in questa casa tutto andava bene. lo sponsor ci disse che l’affitto doveva aumentare di 50 euro perche’ le spese erano cresciute. accettammo, poiche’ ci garantiva comunque di lavorare. ma il lavoro durante i primi mesi di pandemia era sceso di molto e non trovava lavoro, cosi ci diceva. ma scoprimmo che aveva formato Ì un’altra squadra che pagava meno di quello che dava a noi, cioe’ 3 euro l’ora. chiedemmo spiegazioni, ma si rifiutava di incontrarci. una sera venne a casa con altri suoi collaboratori e ci disse che dovevamo lasciare la casa perche’ non voleva piuÌ lavorare con noi. in pratica ci mandava via, ci licenziava, anche se non ci aveva mai assunti. ci costrinse a lasciare la casa entro un’ora, con spintoni e minacce molto pesanti. andammo via senza nessun’altra spiegazione. non ha pagato tutti gli stipendi, abbiamo un credito in denaro di quasi quattro mesi. non vuole vederci e non vuole parlarci. e non vuole pagarci, dicendo che ha pagato per noi delle spese per la casa senza mai dirci quali. ci manda a dire che puo’ denunciarci per furto a casa sua, la casa dove eravamo in affitto. non abbiamo fatto denuncia, anche se degli amici italiani ce lo hanno consigliato. ma abbiamo paura, non solo del caporale ma anche del suo datore di lavoro perche’ e’ conosciuto come una persona che non paga regolarmente gli operai e che minaccia di denunciare coloro che non hanno il permesso di soggiorno. non sappiamo se i soldi del salario arretrato non ce li paga il caporale – dopo aver ricevuto i soldi al datore – o e’ quest’ultimo che non paga il caporale e questo non paga noi. fatto sta che siamo nell’impossibilitaÌ di avere il nostro salario arretrato. adesso – e’ da giugno (2021) che non lavoro – sono ospite di una struttura di accoglienza. ho dormito per circa due mesi nel parco, e alla stazione dei treni. ho sempre lavorato e voglio continuare a lavorare in agricoltura, ma ho paura del caporale che mi ha minacciato. perche’ lo conosco bene e so bene cosa e’ capace di fare. mi ha fatto sapere – e lo dice anche in giro – che non mi deve nulla. da quando sono in questa struttura lavoro qualche giorno alla settimana, mi chiamano quando c’e’ bisogno. il nuovo datore che ho appena conosciuto ha visto che lavoro bene e mi ha promesso di farmi lavorare ancora. e con un contratto regolare. [amantea, cosenza] m.a. e’ originario del mali, di un paese nei pressi della capitale bamako. ha una moglie e un figlio, a cui invia regolarmente denaro. e’ arrivato in italia nel 2016, a lampedusa. ha 28 anni e un diploma di scuola superiore. per circa due anni e’ stato in sicilia, e poi si e’ trasferito a rosarno e successivamente, da quasi tre anni, tra lamezia e amantea, in base al lavoro da svolgere: perlopiu’ nelle serre nel primo caso, nel comparto della cipolla nel secondo. e’ stato ospite dello sprar di lamezia per tre anni circa. da un anno vive con altri connazionali in un appartamento, senza nessuna ingerenza esterna. m.a. attualmente – da quasi un anno (dunque dal settembre 2020) – e’ anche impegnato a sostenere i connazionali e gli altri immigrati in una piccola associazione informale costituita da africani occupati perlopiu’ in attivita’ agricole. lui stesso continua a lavorare nel settore agricolo, sempre nelle raccolte stagionali. da circa tre anni lavora quasi regolarmente ad amantea, svolgendo sia attivita di raccolta nell’orto- frutta che attivita’ di raccolta, intrecciamento e stoccaggio della cipolla. m.a. parla molto bene l’italiano e spiega come trascorre le giornate di lavoro a campora san giovanni, e come la durezza del lavoro non e’ ricambiata con una giusta paga e con un orario adeguato; e come – tra l’altro – sono spinti a sostenere dei ritmi che per molti lavoratori e lavoratrici sono a dir poco pesanti. da tre mesi (dunque da giugno 2020) non lavora perche’ ha denunciato il caporale, uno degli ultimi caporali con cui ha lavorato. i caporali che ho conosciuto sono molti, dice m.a. c’e’ un cambio di caporali molto elevato. e non tutti della stessa nazionalita’, anche perche’ quando il caporale chiama un lavoratore, gli chiede anche se ha amici da portare e puo’ capitare che un amico marocchino ti chiama perche’ lui e’ stato chiamato dal caporale marocchino. oppure, come e’ capitato spesso anche a me, che un caporale senegalese chiama per un lavoro un amico marocchino e questo a sua volta chiama me. succede anche questo, anche se la regola e’ che gli africani lavorano con i caporali africani e i lavoratori marocchini con i caporali marocchini, e cosiÌ per i romeni o i bulgari. e non e’ detto che un caporale di un’altra nazionalita’ sia piu’ severo o minaccioso oppure piu’ violento di quello della tua comunita’. anzi, nella mia esperienza – racconta m.a. – spesso i caporali di altre nazionalita’ tendono ad essere piu’ attenti perche’ hanno anche piu’ timore, a volte anche paura, perche’ non conoscono le reazioni che si possono scatenare tra gruppi di nazionalita’ diversa. ma c’e’ una costante che caratterizza i rapporti con il caporale, le condizioni di lavoro e le modalita’Ì di pagamento. il caporale ti chiama in genere la sera prima, continua m.a., e chiede se sei libero per il giorno dopo o per una settimana o un mese. tu decidi se accettare la proposta, perche’ magari ne hai gia’ un’altra, ma che non ti soddisfa. o meglio perche’ le giornate sono di meno di quelle che ti sta proponendo il nuovo caporale, e quindi di conseguenza l’ammontare del salario mensile. quando hai possibilita’ di scelta decidi in base alla convenienza, ma accetti qualsiasi proposta quando non hai nessuna scelta (m.a. aveva questa possibilita’, fino al lockdown del 2020). il caporale ha sempre una sua squadra, ma questa cambia di numero sulla base della richiesta del datore di lavoro e quindi il caporale cerca di rimpolpare la squadra secondo le esigenze aziendali. se accetti – dice m.a. – sai che la paga oscilla tra 25 e 35 euro, a seconda del caporale e secondo il tipo di lavoro da svolgere e dove viene svolto, e che 5 euro sono per il trasporto. e quante ore bisogna lavorare. per le cipolle, senza specificare l’orario giornaliero, sono 35 euro (meno i 5 euro), per caricare i prodotti per poche ore sono 25 euro (tolti i 5 euro). ma c’e’ un’altra questione da considerare: sapere chi e’ il caporale e come tratta gli operai. questo aspetto e’ importante perche’ ci sono caporali che rispettano gli operai e caporali che non li rispettano, perche’ pensano che comunque gli stiano facendo un favore. gli spostamenti sono sempre in macchina o in furgone, in base alla disponibilita’ dei mezzi del caporale. il furgone e’ il mezzo piu’ comune, ma e’ anche quello che oramai la polizia ferma quasi regolarmente, soprattutto la mattina presto o la sera tardi. per 8 questo i caporali piuÌ attenti usano macchine normali, magari fanno piu’ viaggi se le distanze sono brevi (entro 30 km), oppure coinvolgono altri caporali-autisti, oppure danno la metaÌ dei 5 euro a qualche operaio che ha la macchina. il furgone e’ di nove posti, anche se le persone che trasportano possono essere anche 12 o 15 addirittura. il furgone, dice m.a., rappresenta un simbolo di successo e di forza del caporale, perche’ in genere e’ di sua proprieta’. i caporali piu’ conosciuti possono avere anche due o tre o quattro furgoni, e avere una disponibilita’ maggiore coinvolgendo altri caporali quando gli operai reclutati arrivano ad essere 100 o anche di piu’, fino a 400, come ha potuto constatare direttamente m.a. con i caporali spesso non c’e’ nessun rapporto di amicizia, anche se e’ un tuo connazionale. per lavorare, come prima cosa devi dare i tuoi documenti, poiche’ il reclutatore deve darli al datore di lavoro quando questo ti registra all’inps, oppure li tiene il caporale quando si lavora in nero, per maggior sicurezza. cioe’ a garanzia che non fai danni, che non rubi nulla e che la sera – al momento della paga – non crei problemi. lo scambio serale tra documenti e salario della giornata o della settimana significa che l’attivita’ lavorativa e’ finita senza problemi. se il lavoro e’ di un giorno – riporta m.a. -, il documento viene restituito la sera, se continua per piu’ giorni i documenti restano fino all’ultimo lavorativo. il coordinamento del lavoro e’ affidato ad un caposquadra italiano a cui il caporale straniero deve sottostare: e’ il primo che controlla tutta l’attivita’ nei campi o nei magazzini. possono essere due o tre, dice m.a. dipende da quanti operai lavorano contemporaneamente, e dalla grandezza dell’azienda. se un’azienda impiega duecento, trecento o quattrocento braccianti, i coordinatori saranno molti, come rilevato nella primavera-estate del 2019. i coordinatori sono anche quelli che registrano le giornate ai lavoratori. mi accorsi, ricorda m.a., “che alla fine del lavoro svolto – durato quasi quattro mesi consecutivi – alla fine avevo soltanto 51 giornate registrate, invece di almeno 100 (…) nei campi di cipolla si lavora anche la domenica, ma le giornate conteggiate sono sempre decurtate: su 30 giorni di lavoro ne registrano cinque, o al massimo dieci in busta paga, quando c’e’ un contratto regolare”. “sulle giornate c’e’ sempre una lotta: se si lavora trenta giorni, cinque/dieci sono registrate, e quindi risultano in busta paga, mentre un’altra decina sono pagate in nero e le restanti dieci spesso non sono riconosciute. per farsele pagare occorre avere dei testimoni che affermino questa banale verita’. ma e’ difficile che qualche lavoratore testimoni che hai lavorato 30 giorni, contraddicendo quello che dice il coordinatore, e rinforzato dal caporale ossequioso. la paura di lavorare immobilizza tutti i lavoratori connazionali e non». il controllo, nella maggior parte dei casi, e’ molto severo perche’ tutto e’ a cottimo. m.a. e’ stato minacciato piu’ volte prima di essere mandato via dal lavoro in malo modo. le minacce che riceveva erano continue, cosiÌ come quelle rivolte ai suoi colleghi. «se non vai veloce, domani stai a casa. se non fai in fretta come si aspettano loro ti minacciano”, ricorda m.a. piuÌ volte m.a. dice ai suoi colleghi che non possono continuare a stare zitti, ma le risposte che riceveva erano le stesse: e’ vero ma cosa facciamo senza lavoro? ancora m.a.: “ci sono dei cassoni da riempire, essi sono di forma quadrata, di lunghezza e larghezza un metro o un metro e cinquanta, e profondi ottanta centimetri. in questi cassoni entrano circa due quintali di cipolle. un lavoratore in media ne deve farne almeno tre. se il controllore e’ particolarmente severo se ne riempiono anche quattro. dipende della capienza del cassone. di quelli piu’ piccoli se ne fanno anche dieci. un giorno ho reagito al 9 coordinatore, mettendo in discussione il suo modo di incitarci a lavorare di piu’. era l’inizio dell’estate del lockdown (2020), e tutti eravamo in tensione perche’ non sapevamo cosa fosse il virus, quanto fosse davvero pericoloso. non avevamo mascherine. mi ha sgridato in faccia che dovevo stare zitto, ma ho continuato a rispondergli che non ero un servo. lui ha chiamato il caporale dicendogli che non mi voleva piu’ vedere”. “il caporale mi ha detto subito di andarmene e che ci saremmo rivisti la sera, ricorda m.a. la sera non voleva restituirmi i documenti perche’ diceva che li aveva ancora l’azienda, ma non ci credevo. e non voleva darmi cio’ che avevo maturato in circa un mese di lavoro. l’ho denunciato, grazie al progetto incipit della regione calabria. adesso (fine settembre 2021) da circa tre/quattro mesi non lavoro peroÌ sto pensando di riprendere gli studi (…) farmi riconoscere il diploma se possibile, oppure ricominciare dalla terza media”.