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“serve una strategia nazionale per salvare e rilanciare il settore della pesca, con una sostenibilita’ economica e ambientale da legare a quella sociale con ammortizzatori ad hoc per garantire continuita’ al reddito e contributiva e riconoscendo il carattere usurante di diverse mansioni: tematiche poste al tavolo della pesca la settimana scorsa con il ministro LOLLOBRIGIDA e che riporteremo anche nell’incontro previsto nel pomeriggio a palazzo chigi sul lavoro agroalimentare. al ministro porremo il problema della diminuzione della produzione ittica italiana, chiedendo anche di fissare dei prezzi anti-sfruttamento sotto la vigilanza dell’ismea”, ha detto onofrio ROTA, segretario generale della fai-cisl, concludendo a roma l’incontro per la presentazione della ricerca “il lavoro nel settore della mitilicoltura in italia”. qui l’intervista di ROTA ad agra press http://tinyurl.com/553wyp98 “l’acquacoltura e’ un settore difficile: ‘contadini del mare’ e’ la parola giusta perche’ le criticita’ sono quelle che riscontriamo in agricoltura, sono d’accordo con la proposta fatta da legacoop perche’ c’e’ bisogno di un confronto di ampio raggio”, ha aggiunto ROTA rispondendo alla proposta di elena GHEZZI, responsabile pesca e acquacoltura legacoop agroalimentare, che nel suo intervento ha chiesto di aprire un tavolo di riflessione e di dialogo su tutti gli aspetti sociali del settore ittico, tra cui la questione della cisoa. in vista delle elezioni europee e del rinnovo della commissione europea, GHEZZI ha anche avanzato la proposta di un commissario alla produzione primaria. con oltre un milione e centomila tonnellate di produzione annuale, l’acquacoltura europea si presenta come una parte fondamentale del mondo della pesca, con elevato potenziale di crescita ma anche molte criticita’ di vario tipo. in italia, tra vari pesci marini, molluschi, crostacei, pesci d’acqua dolce, salmonidi, l’acquacoltura e’ stata caratterizzata nel 2021 da oltre 145.800 tonnellate di produzione, leggermente sopra le quote della grecia ma assai al di sotto di quelle di spagna e francia. sono alcuni dati di fondo emersi dalla ricerca “il lavoro nel settore della mitilicoltura in italia”, promossa da fai-cisl, fondazione fai-cisl studi e ricerche e ministero dell’agricoltura, della sovranita’ alimentare e delle foreste. il volume, presentato a roma in presenza di addetti ai lavori e rappresentanti di associazioni e istituzioni, approfondisce i modelli regionali e territoriali di questo importante settore attraverso lo studio della professione dei cosiddetti “contadini del mare”. “abbiamo realta’ produttive molto diverse, in liguria ad esempio soprattutto semi artigianali mentre nelle marche di tipo piu’ industriale, poi ci sono vari mix di tradizione e innovazione, con aziende familiari e altre piu’ strutturate, con una stima totale per la mitilicoltura italiana di 450 imprese e 4 mila addetti, cui vanno aggiunti un migliaio di stagionali e un indotto di 550 altri lavoratori tra commercializzazione e manutenzione delle barche e degli impianti”, ha detto il curatore della ricerca ludovico FERRO, direttore scientifico della fondazione fai-cisl studi e ricerche. qui l’intervista di FERRO con agra press http://tinyurl.com/yc2ef49h tra i territori studiati: lido di venezia, pellestrina, chioggia, scardovari e pila, poi goro, cattolica, civitanova marche, porto san giorgio, la spezia e taranto, luogo di nascita della mitilicoltura italiana, purtroppo tra i piu’ colpiti negli ultimi anni sia per criticita’ ambientali che organizzative e produttive. “le problematiche trasversali, che accomunano le realta’ analizzate – ha detto FERRO – sono i cambiamenti climatici, i predatori, come le orate o il granchio blu, e una concorrenza non sempre leale sul piano delle importazioni, ma soprattutto la mancanza di manodopera: anche laddove la mitilicoltura e’ fortemente radicata nelle tradizioni locali, il rischio legato alla mancanza di ricambio generazionale e’ elevato, non a caso in emilia romagna e marche diversa manodopera arriva da lavoratori di origine straniera”. l’indagine, secondo vincenzo CONSO, presidente della fondazione fai-cisl studi e ricerche, “ha anzitutto il merito di fare luce sulla mancanza di un inquadramento contrattuale specifico dei lavoratori nella mitilicoltura, visto che a loro viene applicato il contratto nazionale dei florovivaisti: e’ pur vero che molti mitilicoltori si sentono i ‘contadini del mare’, perche’ effettivamente il processo di produzione implica una semina ed una raccolta, ma questo avviene fino a 6 miglia dalla costa, in mare, con mansioni e specificita’ uniche. altro tema centrale – ha aggiunto CONSO – e’ quello delle competenze, infatti la ricerca ha evidenziato “la mancanza di scuole di formazione in questo comparto, a differenza di altri paesi come spagna o francia, e questo e’ causa in parte sia della mancanza di ricambio generazionale che di una minore tutela della salute e della sicurezza sul lavoro”. a chiedere chiarezza normativa e’ stato eraldo RAMBALDI, direttore ama – associazione mediterranea acquacoltori: “la mitilicoltura e’ un po’ pesca, un po’ acquacoltura, per cui abbiamo una serie di norme che si sovrappongono mentre ci sarebbe bisogno di normative specifiche”. delle 145mila tonnellate prodotte nel 2021 in italia, oltre centomila sono mitili, di cui 60mila molluschi e 23mila vongole veraci, su cui prevediamo un abbattimento del 60% per il 2024, soprattutto a causa del granchio blu, mentre prospettive ottime sono quelle che abbiamo sulla produzione delle ostriche”. “la ricerca – ha spiegato patrizio GIORNI, segretario nazionale fai-cisl con delega per la pesca – rende evidente l’importanza di salvare alcune agevolazioni per i produttori, come quella sul carburante, e di stanziare misure di protezione sociale come la cisoa agricola, sulla quale abbiamo alcune esperienza positive che rappresentano un modello da seguire”.