Intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella alla cerimonia, in forma ufficiale, in occasione dell’80° anniversario della Liberazione

Intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella alla
cerimonia, in forma ufficiale, in occasione dell’80° anniversario della
Liberazione

Genova, 25/04/2025 (II mandato)

Rivolgo un saluto di grande cordialità a tutti i presenti, agli studenti
particolarmente, al Ministro della difesa, ai rappresentanti del Parlamento
e della Corte costituzionale.

Ringrazio il Presidente della Regione, il Vicesindaco e il Vicesindaco
metropolitano per i loro interventi, e li prego di trasmettere il saluto
più cordiale e affettuoso nei confronti dei loro concittadini, di Genova e
della Liguria.

Ringrazio molto il dottor Ronzitti per la sua ampia, puntuale ricostruzione.

E vorrei, a nome di tutti, ringraziare per la testimonianza che poc’anzi ci
è stata offerta su questo palco, con quella scena coinvolgente e suggestiva.

È per me un’occasione importante poter essere qui con tutti voi per
celebrare oggi, qui a Genova, l’ottantesimo anniversario della liberazione
dalla dittatura fascista e dall’occupazione nazista.

Una regione, la Liguria, che, ricca di virtù patriottiche, tanto ha
contribuito alla conquista della libertà del nostro popolo.

Rendiamo onore alle popolazioni che seppero essere protagoniste nel
sostenere e affiancare i partigiani delle montagne e delle città.

Dalla città di Genova, Medaglia d’oro al valor militare per la lotta di
Liberazione che – recita la motivazione – “piegata la tracotanza nemica
otteneva la resa del forte presidio tedesco, salvando così il porto, le
industrie e l’onore”, alla città di Savona, Medaglia d’oro, insignita per
“l’ostinazione a non subire la vergogna della tirannide”, alle Province di
Imperia e di La Spezia, anch’esse Medaglie d’oro.

Così come alle Città di La Spezia e di Albenga, alla Provincia di Genova,
insignite di Medaglia d’oro al valor civile per la Resistenza. Alle Croci
di guerra assegnate, con la stessa motivazione, ai Comuni di Rossiglione,
San Colombano Certenoli in val Cichero, Zignago, Albenga.

Dalla Liguria è venuta allora una forte lezione sulla moralità della
Resistenza, sulle ragioni di fondo che si opponevano al dominio dell’uomo
sull’uomo, si opponevano a un conflitto nato non per difendere la propria
comunità ma come aggressione alla libertà di altri popoli.

Assumendo comportamenti elementari di rispetto e di solidarietà i
partigiani si uniformavano a quel Codice di Cichero, che faceva sì che,
nelle formazioni, il capo dovesse mangiare per ultimo, potesse
addormentarsi solo una volta accertato personalmente che tutto funzionasse
e fosse in ordine, avesse i turni di guardia più gravosi, che non si
bestemmiasse, che non si molestassero le donne, che non si requisisse senza
pagare il dovuto, che si dovesse dividere con gli altri qualunque cosa si
ricevesse.

Fraternità. Un’esperienza che ha tratto ispirazione da una figura, quella
di Aldo Gastaldi, il partigiano “Bisagno”, comandante della Divisione
Garibaldi-Cichero, protagonista di un impegno per la Patria, la giustizia,
la libertà, considerato come servizio d’amore, oltre che esercizio di
responsabilità.

Morto drammaticamente un mese dopo la Liberazione, Medaglia d’oro al valor
militare, la Chiesa di Genova ha determinato di dare avvio al processo
canonico di beatificazione di questo Servo di Dio.

Poc’anzi, al cimitero di Staglieno, ho reso omaggio ai caduti del movimento
della Resistenza e, con loro, ho reso idealmente omaggio alle figure dei
patrioti dei due Risorgimenti che in esso sono ospitati.

Nel 1945 l’Italia si univa nuovamente – Sud e Nord – dopo che quest’ultimo
era stato separato e trattenuto in ostaggio dai nazisti e dalla Repubblica
di Salò.

Tante le sofferenze e i caratteri originali della Resistenza ligure,
solidamente collegata ai centri di Torino e di Milano e destinata, come
essi, a soffrire sino in fondo la barbarie nazista e fascista.

Con le stragi della Pasqua di sangue del 1944 alla Benedicta, di
Fontanafredda di Masone, all’Olivetta di Portofino, a Costa Binella di
Testico, alla Foce del Centa di Albenga, a Molini di Triora, Torre Paponi
di Pietrabruna ove due sacerdoti vennero arsi vivi, a Ressora di Arcola.

Qui si sviluppa la maturazione politica di patrioti che sanno assumere,
accanto alle operazioni militari di sabotaggio e di contrasto alle forze di
occupazione, responsabilità di governo.

Qui si collocano anelli di quell’arco di esperienze di “zone libere” che
confermano la presenza sul territorio delle formazioni partigiane e la
stretta relazione con le popolazioni.

Qui, con la libera Repubblica di Pigna e di Triora nell’Imperiese, di
Torriglia nel Genovese, della Repubblica del Vara in Alta Val di Vara nello
Spezzino, emerge la dimostrazione della estraneità tra regime e popolazioni.

Questo si manifestava nelle vallate, e trovava conferma nelle città dalle
quali migliaia di donne e uomini vennero ignobilmente avviate al lavoro
coatto in Germania, alla deportazione verso il lager di Mauthausen.

E la fabbrica, le fabbriche, si manifestarono, una volta di più, luoghi di
solidarietà, scuole di democrazia, con la crescita di coscienza sindacale,
e la costituzione delle squadre di difesa operaia. Con gli scioperi nel
Savonese e nello Spezzino alla fine del 1943 e nel 1944, che conferirono
una forte spinta all’allargamento del consenso verso il movimento
partigiano. Gli scioperi a Genova del 1943 sino al giugno del 1944, sino
allo sciopero insurrezionale del 1945.

Il crollo del fronte interno del regime si manifestava giorno dopo giorno.

Il Bando Graziani per l’arruolamento nei reparti fascisti aveva dato un
involontario contributo ai partigiani: posti di fronte al dilemma o
repubblichini o in fuga, molti giovani sceglievano la strada della
montagna, superando ogni attendismo. I partigiani facevano terra bruciata
dei tentativi repubblichini di organizzazione amministrativa: bruciare i
registri anagrafici della Rsi impediva, di fatto, sia le requisizioni dei
beni dei cittadini, sia i tentativi di coscrizione obbligatoria.

Da taluno si è argomentato come il contributo “militare” recato dalla
Resistenza non sia stato decisivo per il crollo della Linea Gotica
costruita dai tedeschi per ostacolare la risalita della penisola da parte
degli Alleati e del Corpo Italiano di Liberazione.

Al contrario, come è noto – e il 1944 lo ebbe a dimostrare – le forze
dell’Asse in campo avevano difficoltà a presidiare, allo stesso tempo, le
aree verso le quali premevano le forze alleate e le zone interne sempre più
nelle mani della Resistenza.

Veniva ascoltato l’ammonimento rivolto da Giuseppe Mazzini ai tanti che,
all’epoca, confidavano nell’intervento d’oltralpe: “più che la servitù,
temo la libertà recata in dono”.

L’aspirazione profonda del popolo italiano, dopo le guerre del fascismo,
era la pace.

Il regime aveva reso costume degli italiani la guerra come condizione
normale: non la guerra per la vita ma la vita per la guerra.

La Resistenza si pose l’obiettivo di raggiungere la pace come condizione
normale delle relazioni fra popoli.

In gioco erano le ragioni della vita contro l’esaltazione del culto della
morte, posto come estrema disperata consegna dalle bande repubblichine.

La Resistenza cresceva in tutti i Paesi europei sotto dominazione nazista.

Si faceva strada, dalla causa comune, la solidarietà, in grado di superare
le eredità delle recenti vicende belliche.

Anche dalle diverse Resistenze nacque l’idea dell’Europa dei popoli, oggi
incarnata dalla sovranità popolare espressa dal Parlamento di Strasburgo.
Furono esponenti antifascisti coloro che elaborarono l’idea d’Europa unita,
contro la tragedia dei nazionalismi che avevano scatenato le guerre civili
europee.

Un nome per tutti qui a Genova, quello di Luciano Bolis, esponente del
Partito d’Azione, orrendamente torturato dalle Brigate nere nel febbraio
1945, miracolosamente sopravvissuto. Medaglia d’argento al valor militare,
riposa ora a Ventotene, accanto ad Altiero Spinelli.

Difendere la libertà dei popoli europei è compito condiviso. Ora,
l’eguaglianza, l’affermazione dello Stato di diritto, la cooperazione, la
stessa libertà e la stessa democrazia, sono divenuti beni comuni dei popoli
europei da tutelare da parte di tutti i contraenti del patto dell’Unione
Europea.

La libertà delle diverse Patrie è divenuta la liberazione dell’Europa da
chi pretendeva di sottometterla.

E fu una lotta così vera da coinvolgere anche persone che i nazisti
pretendevano opporre ai partigiani.

La solidarietà internazionale si misurò sulle montagne liguri come altrove
con l’apporto recato dai tanti che, venuti da patrie lontane, si erano
uniti alla Resistenza.

Desidero richiamare la figura del partigiano “Fiodor”, (Fiodor Andrianovic
Poletaev), ucciso nella battaglia di Cantalupo il 2 febbraio 1945. A lui,
giunto dalla Russia, la Repubblica Italiana ha voluto conferire la Medaglia
d’oro al valor militare. Una strada di Genova reca il suo nome.

La vita democratica, come si è constatato, cresceva nel carattere proprio
alle forze antifasciste genovesi che, accanto alla presenza di cinque
partiti nei CLN del Nord Italia (azionisti, comunisti, democristiani,
liberali, socialisti) annoverava una sesta forza politica, il partito
mazziniano repubblicano.

Questione del tutto peculiare, per dirimere la quale, dal CLNAI, venne
inviato Sandro Pertini, settimo Presidente della nostra Repubblica.

Oggi, nella sua regione, ne vogliamo onorare la memoria.

La sua figura induce a ricordare che la partecipazione politica è questione
che contraddistingue la nostra democrazia.

È l’esercizio democratico che sostanzia la nostra libertà.

Da questi principi fondativi viene un appello: non possiamo arrenderci
all’assenteismo dei cittadini dalla cosa pubblica, all’astensionismo degli
elettori, a una democrazia a bassa intensità.

Anche per rispettare i sacrifici che il nostro popolo ha dovuto sopportare
per tornare a essere cittadini, titolari di diritti di libertà.

Il rovinio del posticcio regime di Salò, la progressiva sconfitta del
nazismo apparivano ormai irreversibili e a Genova, importante bastione
industriale, si posero le condizioni dell’insurrezione e, come abbiamo
ascoltato, un esercito agguerrito si arrendeva al popolo.

Ridurre le forze tedesche a trattare con i partigiani non fu facile.
Preziosa fu la mediazione dell’Arcivescovo di Genova, il Cardinale Pietro
Boetto – dichiarato “giusto fra le nazioni” per il soccorso prestato agli
ebrei – per giungere a siglare la resa del comando tedesco nella sua
residenza di Villa Migone, tra il generale Meinhold e il presidente del CLN
Remo Scappini (“Giovanni”).

Sarebbe toccato al partigiano Pittaluga – Paolo Emilio Taviani – annunciare
la mattina seguente: Genova è libera.

Il generale Meinhold – condannato a morte da Hitler come traditore –
avrebbe poi scritto: “era la sorte della città e quello che più contava la
vita di migliaia di persone da tutte e due le parti che doveva starci a
cuore…. La mia coscienza mi vietava di sacrificare ancora un sol uomo”.

Il rischio che Genova finisse distrutta come Varsavia era sventato.

Si apriva la stagione dei diritti umani delle persone e dei popoli, per
prevenire i conflitti, per affermare che la dignità delle persone non si
esaurisce entro i confini dello Stato del quale sono cittadini.

Non ci può essere pace soltanto per alcuni. Benessere per pochi, lasciando
miseria, fame, sottosviluppo, guerre, agli altri.

È la grande lezione che ci ha consegnato Papa Francesco. Nella sua
“Fratelli tutti”, ci ha esortato a superare “conflitti anacronistici”
ricordandoci che “ogni generazione deve far proprie le lotte e le conquiste
delle generazioni precedenti e condurle a mete ancora più alte…Non è
possibile accontentarsi di quello che si è già ottenuto nel passato e
fermarsi, e goderlo come se tale situazione ci facesse ignorare che molti
nostri fratelli soffrono ancora situazioni di ingiustizia che ci
interpellano tutti”.

Ecco perché è sempre tempo di Resistenza, ecco perché sono sempre attuali i
valori che l’hanno ispirata.

A Genova si espresse e si affermò il respiro della libertà.

Un’anima che non sarebbe mai stata tradita.

Un patto, un impegno, che non sarebbero venuti meno neppure quando, negli
anni ‘70, il terrorismo tentò di aggredire le basi della nostra convivenza
democratica.

E dalle fabbriche venne una risposta coraggiosa, esigente, che si riassume
nel nome di Guido Rossa.

La sua testimonianza appartiene a quei valori di integrità e coraggio delle
persone che, anche qui, edificarono la Repubblica.

Viva la Liguria partigiana, viva la libertà, viva la Repubblica.