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Presidente Conso, perché un workshop sulla formazione proprio al Parlamento Europeo?
Perché la formazione in agricoltura deve diventare una priorità strategica europea. Il Parlamento è il luogo giusto per avviare un dialogo diretto con le istituzioni e le parti sociali su un tema che tocca la competitività, la sostenibilità e l’inclusione dell’intero sistema agroalimentare. L’agricoltura impiega oltre 30 milioni di persone in Europa, e oggi più che mai ha bisogno di strumenti per affrontare transizioni complesse. Foragri, come ente bilaterale, è un osservatorio privilegiato: vediamo ogni giorno quanto la formazione possa fare la differenza per le imprese e per i lavoratori.
Qual è oggi la sfida nel campo della formazione?
La vera sfida è costruire un modello formativo accessibile, qualificato e orientato alla crescita delle competenze lungo tutta la filiera. I dati occupazionali sono in crescita in tutta Europa, ma restano gravi criticità: giovani, donne e persone con basso titolo di studio faticano a trovare spazi di inclusione reale. La qualità del rapporto di lavoro non è dettata solo dal contratto a tempo indeterminato, che è una base indispensabile. Conta altrettanto anche cosa c’è dentro un contratto di lavoro. Se c’è formazione, crescita, diritti e riconoscimento delle competenze, allora c’è qualità. E la formazione è lo strumento più potente per rendere il lavoro dignitoso, stabile e produttivo. Per questo la formazione finanziata tramite la bilateralità è un “driver” importantissimo per difendere e aumentare la qualità del lavoro agroalimentare.
Foragri è molto attiva sulla certificazione delle competenze. Qual è il valore di questo approccio?
La certificazione delle competenze è il ponte tra formazione e occupabilità. Foragri è uno dei pochi fondi in Italia a completare l’intero ciclo, grazie a convenzioni con le Regioni. A Bruxelles nel corso dei nostri lavori, ad esempio, abbiamo firmato un protocollo con la Regione Piemonte. Si tratta del punto di arrivo di un percorso iniziato negli anni scorsi con una serie di esperienze significative di raccordo tra le attività del Fondo e quelle della Regione. Questa alleanza strategica consentirà – in via sperimentare – di valorizzare in tutta la Regione Piemonte le “microcredenziali” relative alle competenze acquisite in ambito non formale. Si tratta di un’opzione strategica per garantire la flessibilità dei percorsi e la loro adeguatezza alle esigenze dei contesti organizzativi in continuo mutamento e delle persone che in esse lavorano. In prospettiva europea, proponiamo la costruzione di un sistema comune di certificazione, che includa anche i lavoratori migranti, magari valorizzando esperienze positive come quelle del Fondo Asilo Migrazione e Integrazione (FAMI). Solo così possiamo promuovere una mobilità qualificata e un’occupabilità oltre i confini nazionali.
Avete evidenziato delle criticità normative. A cosa vi riferite?
Purtroppo, oggi la normativa europea sugli aiuti di Stato ostacola l’efficienza della formazione finanziata. La formazione finanziata è considerata aiuto di Stato e, pertanto, sottoposta alla relativa disciplina. Per le aziende agricole i Regolamenti sul regime de minimis e il Regolamento GBER rappresentano un ostacolo per lo svolgimento delle attività formative. Auspichiamo un superamento di queste norme. In più, c’è un problema tutto italiano: il parziale prelievo forzoso sui fondi interprofessionali. Si tratta di risorse che il legislatore italiano restituisce ai fondi ma con il vincolo di impiegarle esclusivamente per la formazione dei lavoratori in cassa integrazione. Una richiesta che lascia molto perplessi perché non tiene conto delle specificità dell’agricoltura, dove il lavoro è strutturalmente legato alla stagionalità e dove la “cassa integrazione” (la CISOA) esiste solo per i lavoratori a tempo indeterminato, circa l’11% del totale dei lavoratori dipendenti in agricoltura.
La Politica Agricola Comune può fare di più per la formazione?
Può sicuramente farlo. A breve si aprirà il confronto sulla PAC che si avvierà a partire dal primo gennaio 2028. La PAC per il periodo 2023-2027 ha introdotto per la prima volta una clausola di condizionalità sociale, un passo importante che ha determinato la nascita di un “pilastro sociale” della politica agricola comunitaria. Senza la pretesa di parlare di politica economica, al confronto vogliamo esserci per portare la nostra testimonianza sull’importanza della formazione come leva di sviluppo e di produttività da finanziare e incentivare anche con sistemi legati ai piani strategici nazionali che dalla PAC prendono le mosse. La formazione come fattore competitivo è infatti anche uno strumento contro la concorrenza sleale ed una leva per costruire un’agricoltura socialmente inclusiva. Senza formazione non ci può essere futuro per il nostro settore.