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Dazi: Cia, tariffa al 30% è irricevibile, Ue sia unita e non arresti
negoziato. Si scongiuri guerra commerciale catastrofica per
agroalimentare

Il presidente Fini: così si metterebbe a rischio un mercato florido
per le nostre aziende

Roma, 13 lug – “I dazi al 30% minacciati da Trump sono una proposta
irricevibile. L’Europa sia unita e non arrresti il negoziato. Bisogna
scongiurare una guerra commerciale con gli Stati Uniti, che sarebbe
catastrofica per tutto il settore agroalimentare”. Così il presidente
di Cia-Agricoltori Italiani, Cristiano Fini, commenta l’annuncio dei
dazi al 30% da parte di Trump, che metterebbero a rischio un mercato
florido per le nostre aziende.

Chianti e Amarone, Barbera, Friulano e Ribolla, Pecorino Romano,
Prosecco. Nella guerra commerciale che rischia di aprirsi con l’arrivo
dei dazi, ci sono prodotti tricolori in pericolo molto più degli
altri, perché tanto dipendenti dall’export verso gli Stati Uniti. È
quanto emerge dall’analisi di Cia-Agricoltori Italiani, sulla base dei
dati di Nomisma e dell’Ufficio studi confederale.

“Serve un’azione diplomatica forte per trovare una soluzione e non
compromettere i traguardi raggiunti finora -ha dichiarato il
presidente nazionale di Cia, Cristiano Fini-. L’export agroalimentare
negli Usa è cresciuto del 158% in dieci anni e oggi gli Stati Uniti
rappresentano il secondo mercato di riferimento mondiale per cibo e
vino Made in Italy, con 7,8 miliardi di euro messi a segno nel 2024”.
Secondo Fini, “l’Italia può e deve essere capofila in Europa
nell’apertura di un negoziato con Trump, visto che abbiamo anche più
da perdere. Gli Usa, infatti, valgono quasi il 12% di tutto il nostro
export agroalimentare globale, mettendoci in testa alla classifica dei
Paesi Ue, molto prima di Germania (2,5%), Spagna (4,7%) e Francia
(6,7%)”. Ecco perché “bisogna agire e fare di tutto per contrastare
l’effetto deflagrante dei dazi Usa alle porte, tra danni enormi a
imprese e cittadini, dilagare dell’Italian sounding e spazi di mercato
a rischio occupazione da parte di altri competitor. A partire proprio
dai prodotti più esposti verso Washington”.

Guardando ai prodotti Made in Italy che trovano negli Stati Uniti il
principale sbocco, in termini di incidenza percentuale sulle vendite
oltrefrontiera, preoccupata la situazione del Pecorino Romano
(prodotto al 90% in Sardegna), il cui export negli Usa vale il 57% di
quello complessivo (quasi 151 milioni di euro). Ma con i dazi al 25%,
il florido settore americano di chips e snack (2,5 miliardi) potrebbe
sostituire il Pecorino nostrano con altri prodotti caseari più
convenienti. Discorso a parte sul vino italiano, per il quale gli Usa
sono la prima piazza mondiale con circa 1,9 miliardi di euro fatturati
nel 2024, ma con “esposizioni” più forti di altre a seconda delle
bottiglie. A dipendere maggiormente dagli Stati Uniti per il proprio
export sono infatti i vini bianchi Dop del Trentino-Alto Adige e
Friuli-Venezia Giulia, con una quota del 48% e un valore esportato di
138 milioni di euro nel 2024; i vini rossi toscani Dop (40%, 290
milioni), i vini rossi piemontesi Dop (31%, 121 milioni) e il Prosecco
Dop (27%, 491 milioni). Grandi numeri che i dazi possono scombinare,
lasciando strada libera ai competitor: dal Malbec argentino, allo
Shiraz australiano, fino al Merlot cileno.

Anche per l’olio d’oliva italiano gli Stati Uniti hanno un peso
significativo, pari al 32% del proprio export (937 milioni di euro nel
2024), ma meno sostituibile nella spesa degli americani, e così a
scendere per i liquori (26%, 143 milioni). Meno esposti al mercato Usa
risultano invece Parmigiano Reggiano e Grana Padano, per una quota che
pesa per il 17% del valore dell’export congiunto di questi due
formaggi (253 milioni), così come pasta e prodotti da forno (13%, 1,1
miliardi).