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un reddito piu’ basso di 1.800 euro l’anno, indipendentemente dall’eta’, dalla cittadinanza, dal titolo di studio e dal territorio di residenza. e’ il divario salariale che subiscono le lavoratrici dipendenti agricole in italia, che percepiscono ogni anno 5.400 euro lordi annuali contro i 7.200 dei loro colleghi uomini. da queste cifre, elaborate dalla ricercatrice istat annalisa GIORDANO, si snoda l’analisi di “(dis)uguali”, il nuovo quaderno dell’osservatorio placido RIZZOTTO della flai cgil, presentato oggi a roma alla presenza di autrici, autori ed esperti e dedicato alla condizione di pluri-sfruttamento delle donne in agricoltura. in questa occasione agra press ha intervistato il segretario generale di flai cgil giovanni MININNI, qui il video https://youtu.be/Qzy_FYtQKXo. il quaderno e’ stato presentato questa mattina e nell’occasione la presidente della commissione parlamentare d’Inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia, chiara GRIBAUDO (pd), si e’ impegnata a portare il quaderno all’attenzione del parlamento affinche’ se ne discuta nelle sedi istituzionali. le lavoratrici agricole impiegate in agricoltura nel nostro paese sono circa 300mila, quasi un terzo del totale dei lavoratori dipendenti contrattualizzati, ma diverse ricerche indicano che potrebbero essere molte di piu’, considerati i rapporti di lavoro totalmente informali: actionaid stima che le lavoratrici straniere irregolarmente occupate in agricoltura possano oscillare tra le 51mila e le 57mila unita’. in molti casi le lavoratrici delle campagne, oltre a guadagnare meno degli uomini, sono confinate in particolari ruoli della filiera. spesso si trovano costrette a conciliare responsabilita’ di lavoro e di cura, a volte sottoposte perfino a ricatti sessuali, come accade alle lavoratrici piu’ vulnerabili e con meno tutele. una donna di 28 anni, costretta a lavorare nei campi senza contratto, ne’ paga, ne’ liberta’, decide di scappare dal luogo dove era tenuta sotto controllo. lo fa insieme a tre suoi connazionali bulgari. dopo la fuga hanno paura, ricevono telefonate minacciose. sanno che i loro sfruttatori li stanno cercando. la donna era arrivata in italia pochi mesi prima, lasciando ai parenti un figlio di 9 anni. in germania, dove aveva vissuto col compagno, riusciva a sopravvivere facendo lavori saltuari. poi l’offerta: “venite in italia, c’e’ lavoro in una fabbrica di cipolle, 9 euro l’ora, 1.200 euro al mese, affitto a 100 euro”. all’arrivo, pero’, non c’era alcuna fabbrica, nessuna paga oraria, nessun alloggio decente. si trovano a dormire in una vecchia struttura turistica abbandonata, senza elettricita’ ne’ ventilazione, con altre venti persone accampate tra pavimenti sporchi e coperte logore. ogni giorno venivano caricati su furgoni e portati nei campi, anche a un’ora di distanza, per raccogliere ortaggi. in due mesi di lavoro estenuante, la donna aveva ricevuto appena 90 euro. quando avevano chiesto di essere pagati, uno degli altri lavoratori era stato picchiato dal caporale davanti a tutti. per lei era stato ancora piu’ umiliante: il mediatore che l’aveva portata in calabria le aveva suggerito di “concedersi” sessualmente al caporale per ricevere il salario pattuito. si rifiuta e poi decide di fuggire e di contattare l’antitratta, che tempestivamente interviene. questa e’ una delle storie citate da maria rosa IMPALA’ e rosanna LIOTTI del progetto antitratta incipit: racconti di sofferenza e di riscatto, che contribuiscono peraltro a svelare i meccanismi del pluri-sfruttamento femminile in agricoltura. “si tratta di un sistema che carica le donne di compiti invisibili, non retribuiti e non riconosciuti (…): lavorano nei campi ma sono anche impiegate per cucinare, pulire, accudire gli uomini del gruppo, senza riconoscimento ne’ retribuzione. se si ammalano, nessuno le cura. se restano incinte, devono abortire segretamente, con gravi rischi per la salute”, si legge nel quaderno. sono le lavoratrici agricole migranti, in particolare, ad essere spesso “sfruttate, mal retribuite, ricattate ed esposte a gravi abusi perche’ donne, perche’ straniere, perche’ prive dei documenti di soggiorno o necessitate a rinnovarli, perche’ povere, perche’ vittime di tratta, perche’ sole o, al contrario, perche’ madri/mogli investite di responsabilita’ familiari”, ricorda nel quaderno la ricercatrice idos ginevra DEMAIO. diverse tra queste donne, poi, si trovano ad abitare negli insediamenti informali presenti nel nostro paese, i cosiddetti “ghetti”, dove sopravvivono migliaia di lavoratori e lavoratrici delle nostre campagne. “la percezione collettiva associa gli insediamenti informali a uomini, braccianti stagionali, lavoratori stranieri che lavorano nelle campagne circostanti, mentre sul piano della narrazione e nel dibattito pubblico la presenza delle donne in questi contesti e’ sottaciuta”, scrive monia GIOVANNETTI di fondazione anci. secondo un’indagine della fondazione cittalia per anci e ministero del lavoro, a cui hanno risposto poco meno della meta’ dei comuni italiani, in 4 ghetti su 10 tra quelli mappati e’ stata rilevata la presenza femminile, parliamo di 1.868 donne su circa 11mila persone, ovvero il 17% delle presenze complessive stimate; in alcuni di questi insediamenti l’incidenza femminile supera il 50%. tra le donne impiegate in agricoltura maggiormente vulnerabili, inoltre, sono purtroppo frequenti forme di sfruttamento e violenze sessuali, a cui si associa stigma sociale e trauma, che puo’ anche trasmettersi alle generazioni successive. un fenomeno analizzato nel quaderno dalla psicologa e psicoterapeuta luana TIMPERIO, noto come “trauma transgenerazionale”. alle lavoratrici agricole e’ spesso richiesto di far conciliare lavoro nei campi e lavoro di cura, un’operazione difficile anche causa della mancanza dei servizi territoriali di supporto. mancano asili nido accessibili in termini di costi e orari – sottolinea nel quaderno la sociologa federica DOLENTE – trasporti pubblici che colleghino le zone rurali ai centri urbani dove si trovano servizi essenziali anche per la salute riproduttiva, e non ci sono iniziative di sostegno alla genitorialita’ e alla cura. il terzo quaderno dell’osservatorio placido RIZZOTTO si apre col ricordo, curato dalla documentarista rai lucrezia LO BIANCO, della vicenda di paola CLEMENTE, morta di fatica nel luglio del 2015 nelle campagne di andria. una morte assurda e inconcepibile, che ha aperto la strada all’approvazione della legge 199/2016 contro sfruttamento e caporalato, una norma fortemente voluta e spinta dalla flai cgil che si accinge a compiere dieci anni. la chiusura del volume invece e’ affidata a valeria CAPPUCCI dell’archivio storico “donatella TURTURA” della flai, che ci racconta la storia emozionante delle gelsominaie. una storia poco conosciuta, di grandi fatiche e di lotte. si alzavano la notte, per raccogliere i fiori di gelsomino fra mezzanotte e le tre del mattino, quando erano ancora carichi di rugiada, per rifornire le industrie profumiere. gli scioperi delle gelsominaie si svilupparono tra gli anni ’40 e gli anni ’70; cosi’ riuscirono a ottenere salari piu’ elevati per donne che spesso erano l’unico sostegno delle famiglie decimate dalla guerra. “fra queste due estremita’, il dolore di paola CLEMENTE e la forza delle gelsominaie, si colloca il senso piu’ profondo di questo quaderno e, insieme, l’impegno della flai cgil – spiega il segretario generale della flai giovanni MININNI nella postfazione -. raccontare la condizione delle donne in agricoltura, infatti, non e’ soltanto un esercizio di analisi sociologica, ma un atto politico e sindacale: significa portare alla luce una realta’ che si vorrebbe nascosta, rompere il silenzio che circonda le lavoratrici, dare un nome e un volto a chi vive e lavora nei campi, nelle serre, nei magazzini ortofrutticoli”. “(dis)uguali”, scrive la presidente del comitato scientifico dell’osservatorio placido RIZZOTTO maria grazia GIAMMARINARO, “accende molteplici riflettori e pone molteplici interrogativi. soprattutto uno: fino a quando la presenza delle donne impiegate nel settore agricolo sara’ ignorata?”. conoscerne le condizioni, chiosa, “e’ la premessa indispensabile per approfondire il rapporto con le lavoratrici e intervenire per compiere insieme a loro una indispensabile battaglia di giustizia sociale”.

