ROTA (FAI-CISL): SERVE UN RECOVERY AGROALIMENTARE LAVORIAMO INSIEME SU UN DOCUMENTO DI PRIORITÀ

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Di Letizia Martirano

Il 2020 è stato un anno tra i più difficili dal dopoguerra e il sindacato ha avuto un incontro ravvicinato con la crisi. Le valutazioni sul futuro sono complesse. Di questo e’ piu’ che cosciente il segretario generale della Fai-Cisl Onofrio Rota. in questa intervista fa alcune valutazioni della situazione e esprime l’auspicio che si arrivi a un Recovery agroalimentare frutto di un lavoro condiviso. Inoltre Rota, evoca, criticandolo, il tema molto controverso del salario minimo.

Vede luce in fondo al tunnel?

Per quanto riguarda la pandemia sì. Grazie alla ricerca e al nostro sistema sanitario ne usciremo. Ma sul piano delle conseguenze sociali, politiche ed economiche, vedo ancora molte incertezze.

Come è andato l’agroalimentare?

Ci sono luci ed ombre, ma sostanzialmente ha tenuto, nonostante tutto. Assieme al farmaceutico, il settore è stato l’unico a continuare a crescere, anche se il panorama è molto disomogeneo. Hanno pesato i dazi di Trump, le difficoltà logistiche. I consumi hanno avuto cambiamenti veloci. Mentre i ristoranti hanno subito pesanti restrizioni, tanti italiani hanno cominciato a fare pane e dolci in casa, dunque alcuni prodotti sono andati male, altri hanno richiesto maggiori sforzi produttivi. Nel frattempo gli agriturismi hanno avuto un crollo in termini di accoglienza. E poi abbiamo assistito a vari paradossi, come il fatto che molte aziende agricole abbiano faticato a trovare manodopera in diversi momenti, soprattutto i lavoratori di origine straniera, prima della regolarizzazione. Dunque l’anno non è stato uguale per tutti. Di certo, tutto questo ha avuto e continua ad avere un impatto forte anche sull’organizzazione del lavoro e sulla pratica della rappresentanza.

Come giudicate l’operato del Governo?

All’inizio ha reagito, ha ottenuto parecchio consenso, spinto probabilmente anche dalla paura delle persone e dalla volontà di tornare al più presto alla normalità. Poi questo clima è venuto meno. Proprio qualche giorno fa ne parlavamo anche con il Presidente del Censis, Giuseppe De Rita, in occasione di un nostro webinar: attualmente le persone sembrano vivere in trance e la politica in una bolla istituzionale. Il blocco dei licenziamenti, la cassa integrazione, sono strumenti indispensabili per contenere l’emergenza, ma poi vieni giudicato in base all’efficienza, a come gestisci le risorse annunciate, alla presenza o meno di una visione organica del futuro del Paese. Se poi aggiungiamo anche le diverse misure ingiuste che sono state adottate, il giudizio non può essere positivo.

Si riferisce al bonus di mille euro dal quale – come avete denunciato – sono stati esclusi i lavoratori agricoli?

Non abbiamo denunciato solo l’esclusione dei braccianti, abbiamo denunciato una grave confusione in generale, anche se la parola confusione è un eufemismo. Certe regole non puoi demandarle alla libera interpretazione. Non esplicitare se i lavoratori agricoli hanno diritto oppure no a un bonus è allucinante, abbiamo avuto opinioni contrastanti persino tra esponenti dello stesso esecutivo. Il Governo, dopo tanti nostri solleciti, ha lasciato che a pronunciarsi fosse l’Inps, che a due giorni dalla scadenza per farne richiesta ha detto che ai lavoratori agricoli non spettavano i mille euro previsti. Peccato che nel frattempo si erano rivolti a noi 80 mila lavoratori, ai quali vanno aggiunti quelli che si sono rivolti alle altre sigle sindacali. Sono tutte famiglie che si aspettavano una risposta concreta, una boccata di ossigeno, che però non c’è stata. Eppure non mi pare che gli operai agricoli stiano navigando nell’oro. Ci si è dimenticati di quanti sacrifici e rischi hanno affrontato in questi mesi, garantendo il cibo a tutti gli italiani. Proviamo per un attimo a immaginare cosa potrebbe accadere senza il cibo sugli scaffali…

Avete in programma nuove mobilitazioni?

Non escludo nuove agitazioni. È vero, il momento è molto delicato, ma di motivi per manifestare le nostre categorie ne avrebbero anche molti altri oltre al mancato bonus. Pensiamo ai lavoratori agricoli in malattia per Covid19, che non maturano giornate utili per accedere alla disoccupazione agricola. Pensiamo alle tante giornate di lavoro perse a causa di alcune calamità, come nel caso della xylella, delle gelate, della cimice asiatica. E pensiamo al conseguente bisogno di riconoscere, per il 2020, le stesse giornate lavorate nel 2019, offrendo così ai lavoratori agricoli la possibilità di accedere agli opportuni ammortizzatori sociali. Altro dossier, su cui sta crescendo inevitabilmente il malumore dei lavoratori, è quello del comparto idraulico-forestale, che è privato del contratto nazionale da oltre 8 anni. Un settore che purtroppo paga cara l’assenza totale di una visione strategica. Non è corretto dire una cosa mentre se ne fa un’altra: tutti parlano di ambiente, di Green Deal, di sostenibilità, ma poi non si investe sufficientemente sulle risorse e i diritti per i lavoratori che se ne occupano, a cominciare dai forestali e dai dipendenti dei consorzi di bonifica. E non se la passa meglio la pesca: siamo riusciti, tramite la Ministra delle politiche agricole Teresa Bellanova, a ridurre il taglio delle giornate di attività che aveva inizialmente previsto la Commissione Europea, ma è presto per cantare vittoria, perché andranno chiarite le modalità di copertura delle giornate di fermo per il 2021, su cui le misure del Feamp non sono sufficienti. Così come non possiamo cantare vittoria per aver ottenuto il sostegno ai pescatori con la legge di bilancio, in quanto coprirà solo fino a giugno e non garantisce ai marittimi le necessarie coperture assistenziali e previdenziali. Che occorra un ammortizzatore strutturale, per i pescatori, lo diciamo da anni. Poi c’è la battaglia per la nuova PAC, che dovrà includere i principi della condizionalità sociale: i finanziamenti devono andare a chi applica i contratti e rispetta i diritti dei lavoratori. Per non parlare del caporalato, su cui vogliamo sapere cosa è stato fatto ad un anno dal lancio del Piano triennale, che ci aveva visto molto favorevoli. Su alcuni aspetti tra questi avevamo avviato con la Ministra Bellanova un confronto, avevamo ottenuto qualche primo risultato. È fondamentale che chi arriverà a Via XX Settembre abbia le competenze giuste e una forte predisposizione al dialogo.

Sui bonus il Sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta, intervenendo a una vostra iniziativa qualche giorno fa, non ha escluso novità. Cosa pensa?

Baretta in quell’incontro ha esplicitamente riconosciuto almeno quattro cose importanti. Primo, che i criteri legati al codice Ateco per selezionare i beneficiari dei bonus si sono dimostrati farraginosi. Secondo, che il settore agroalimentare sta ottenendo un’attenzione politica crescente, anche perché per la prima volta nella storia, a una pandemia non si sta associando una carestia, e questo grazie al settore, che non si è mai fermato. Terzo, che la questione della sostenibilità all’interno del Recovery potrà avvantaggiare in primis proprio il settore agricolo. Ma soprattutto, infine, ha concordato con noi sul fatto che un gioco di squadra più efficace tra sindacati e imprese, nei confronti del Governo e in particolare del Ministero dell’Agricoltura, potrebbe dare al comparto maggiore capacità interlocutoria. Dunque, come Fai Cisl, sento di rivolgere un appello forte a Flai Cgil e Uila Uil, nonché a Coldiretti, Cia, Confagricoltura, e a tutta l’industria alimentare: lavoriamo insieme per costruire un Recovery agroalimentare, un documento di priorità che rafforzi quanto previsto per i nostri comparti dentro i percorsi del Recovery Fund.

C’è, secondo lei, una questione salariale in Italia, visto che dei 2,9 milioni di persone con reddito di cittadinanza, 365 mila hanno un lavoro, ma non un reddito adeguato, come ha puntualizzato la Ministra del lavoro Nunzia Catalfo?

C’è un problema innegabile di potere di acquisto da recuperare, ma la lettura dei dati non può essere distorta con approcci ideologici. A parte il fatto che di quei 365 mila che percepiscono il reddito di cittadinanza pur avendo un lavoro il 75% appartiene al settore dei servizi e non, come spesso viene erroneamente detto, all’agricoltura, rimane da vedere cosa si ottiene con un salario minimo dettato per legge. Secondo noi una catastrofe. Primo perché nella stragrande maggioranza dei casi la contrattazione supera la soglia minima dettata dalle proposte di legge, e poi perché introdurre una soglia uguale per tutti potrebbe innescare una corsa al ribasso. C’è poi una questione più generale sulla quale riflettere, e cioè che l’idea di imporre un salario minimo per legge è finalizzata a delegittimare la contrattazione, è figlia del mito della disintermediazione, che negli ultimi anni ha prodotto danni enormi sotto tutti i punti di vista. La verità è che i redditi si migliorano con la buona contrattazione, non con leggi scritte da questo o quel governo per comprarsi il consenso elettorale.

Però sia la Fai che la Cisl, assieme a Cgil e Uil, hanno votato sì al documento del sindacato europeo sul salario minimo.

Infatti quel documento è stato prima bocciato più volte dalla Cisl, poi abbiamo approvato una versione finale che ha accolto tante nostre richieste, a cominciare dal riconoscere come prioritarie la promozione della contrattazione collettiva e il coinvolgimento delle parti sociali. Inoltre, altri punti per cui ci siamo battuti, la proposta europea non istituisce un salario minimo europeo, né obbliga gli Stati membri a stabilirlo per legge, ma punta a far scrivere norme laddove la contrattazione non arrivi a coprire almeno il 70% dei lavoratori. È una conquista importante per quei Paesi in cui mancano tanti strumenti conquistati in Italia, così come in tante altre realtà europee, attraverso decenni di battaglie sindacali.

Per il salario nel settore agricolo rimangono fondamentali i contratti provinciali, a che punto siete con i rinnovi?

Il Covid a rallentato parecchie trattative, comprese quelle per i contratti provinciali, ma ci siamo opposti all’idea che la pandemia possa diventare una scusa per mettere in soffitta i diritti dei lavoratori. Quindi, dopo alcune frizioni iniziali con le parti datoriali, la situazione sembra in via di miglioramento. Lasciano ben sperare i recenti rinnovi concordati a Matera, con un +2,2% di incremento salariale, oppure ad Ancona, con un ottimo +2,9. Sono buoni segnali. Credo fermamente che dalla crisi economica indotta dalla pandemia si possa uscire soltanto con una nuova stagione di vera concertazione, con un rinnovato patto di solidarietà tra le rappresentanze dei lavoratori, le imprese e le istituzioni.